Perché minimizzare il rischio sanitario nelle carceri è molto pericoloso
Il ministro ha condannato le violenze compiute da parte dei carcerati ma per la prima volta ha ammesso che le strutture detentive hanno un problema di sovraffollamento
Roma. Dodici morti tra i detenuti, 40 agenti di polizia penitenziaria feriti. Il bilancio delle rivolte in carcere – solo provvisorio, ieri ci sono state nuove proteste a Sollicciano, dove un allievo agente di polizia penitenziaria in tirocinio è risultato positivo al coronavirus – è sanguinoso. Ieri il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede è intervenuto alle Camere per un’informativa sullo stato dei disordini, nella quale ha annunciato che adesso verranno effettuati i tamponi sui detenuti trasferiti a vario titolo e che lunedì scorso è arrivata la “prima fornitura di circa 100 mila mascherine che sono in fase di distribuzione, prioritariamente agli operatori che accedono dall’esterno”.
Il ministro ha condannato le violenze compiute da parte dei carcerati, la maggior parte dei quali morti, ha detto, per “abuso di sostanze sottratte all’infermeria durante i disordini” ma ha aggiunto: “E’ evidente che tanti detenuti siano effettivamente preoccupati, soprattutto in condizioni di sovraffollamento, dell’impatto del Coronavirus sulla propria salute e sulle condizioni detentive”. Dunque, contrariamente a quanto sostiene da tempo Francesco Basentini, capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, il sovraffollamento carcerario esiste. “Al contrario di quanto molti affermino, quello del sovraffollamento negli istituti penitenziari italiani è un falso problema, sia dal punto di vista giuridico che dal punto di vista dimensionale-logistico”, ha detto Basentini nel marzo 2019. In realtà, come spiega chi il carcere lo visita quasi quotidianamente, basta entrare in una cella per capirlo. Ed è lo stesso ministero della Giustizia, nella sua ultima relazione, a spiegare che servono “strategie dirette a combattere il fenomeno del sovraffollamento” e volte a trovare “soluzioni per redistribuire i detenuti appartenenti all’alta e alla media sicurezza attualmente ubicati nelle zone dove è più alto l’indice di affollamento e in particolare negli istituti del Sud Italia”. Per legge, ogni detenuto ha diritto a uno spazio di 3 metri quadri in cella ma, come spiega al Foglio la direttrice de “L’altro diritto” Sofia Ciuffoletti, “sono rari i luoghi e i carceri in cui sono garantiti tre metri quadri per persona almeno”. Così come è difficile che vengano garantite più di 4 ore al giorno fuori dalla cella. Il problema, fra i tanti, è che in Italia non si è mai capito come venga conteggiato lo spazio. E’ tutt’ora in corso una discussione sul considerare o meno comprensivo dei 3 metri anche il letto, che per Mark Twain è “il posto più pericoloso del mondo: vi muore l’ottanta per cento della gente”. Ieri Italia viva è tornata a chiedere le dimissioni del capo del Dap, sia al Senato sia alla Camera. “Nessuna violenza dei detenuti può essere giustificata, eppure con dispiacere e amarezza devo dire che in questi giorni dal ministero e dai vertici Dap è mancata una linea: avete lasciato sola la polizia penitenziaria e i direttori delle carceri prima e in questi giorni”, ha detto Maria Elena Boschi al ministro Bonafede.
Un giudizio condiviso da Pietro Grasso di Leu: “E’ mai possibile che la sospensione dei colloqui abbia potuto provocare un’ondata di violenza così diffusa e incontrollata? Poteva il peso dell’emergenza pesare soltanto sulla limitazione dei diritti dei detenuti? Agenti, educatori, medici, infermieri, psicologi, direttori, detenuti in semilibertà, che ogni giorno entrano ed escono dal carcere senza alcuna protezione, sarebbero immuni per decreto?”. Perché, ha chiesto ancora Grasso, “non sono state date chiare e precise direttive su una comunicazione anticipata che rassicurasse detenuti e sindacati nel garantire valide alternative come filtri sanitari, telefonate, colloqui via Skype e altre soluzioni? Tutte queste misure sono state genericamente devolute alla discrezionalità dei provveditori e dei direttori lasciati soli ad affrontare reazioni non imprevedibili”. Molti ignorano che “i colloqui non sono l’unico contatto dei detenuti con i propri affetti, ma anche la principale possibilità per ricevere cibo, biancheria pulita e beni di prima necessità. Modificare improvvisamente questo equilibrio senza dare le giuste informazioni e soprattutto rassicurazioni è stato un errore gravissimo. A questo si aggiunga la paura del contagio in uno spazio in cui centinaia di corpi, tra reclusi ed operatori, condividono gli stessi spazi angusti”.
L’associazione Antigone propone l’estensione dell’affidamento in prova e della detenzione “anche a persone che abbiano problemi sanitari tali da rischiare aggravamenti a causa del virus Covid-19”, così la concessione della detenzione domiciliare a tutti i detenuti che usufruiscono della semilibertà. “Ho orrore della violenza”, dice Ornella Favero, direttrice di Ristretti Orizzonti, “però penso anche allo stato di abbandono in cui versano tante galere, le giornate passate ad ammazzare il tempo, i corpi accatastati in spazi inadeguati, la perenne emergenza sovraffollamento, e ora su tutto questo la paura del virus, il senso di impotenza, la rabbia, e capisco quanta fatica si faccia a restare umani in quei luoghi, e quanto il pensiero di chi ha partecipato a queste rivolte alla fine sia stato anche quello di sballarsi fino a dimenticare, fino alla morte”.