"Il Cura Italia non basta a risolvere il sovraffollamento nelle carceri", dicono i giuristi
“Le nuove misure adottate riguarderanno circa 3 mila detenuti: la crisi resterà ancora allarmante". Un appello al Parlamento
“Nel medioevo, quando c’era la peste, i prigionieri venivano liberati, ed è sempre stato così nella storia dell’umanità. Fino ad oggi”. Parola di Guido Camera, membro del consiglio direttivo di Italiastatodidiritto, associazione di giuristi impegnati nella difesa dei valori costituzionali, che ha lanciato un appello al Parlamento affinché intervenga per tutelare il diritto alla salute delle persone recluse e del personale carcerario.
Partiamo dai numeri per inquadrare la situazione: lo stato di sovraffollamento delle case circondariali e degli istituti di pena è un fattore patologico del nostro sistema penitenziario, al 30 novembre del 2018, a 60.002 detenuti corrispondevano 45.983 posti (al netto di 4.600 posti inagibili e inutilizzati), con un sovraffollamento nazionale pari al 130,4%. Il numero dei detenuti è cresciuto nel 2019, senza che siano aumentati i posti a disposizione nelle carceri: al 29 febbraio 2020, infatti, i carcerati erano 61.230. Occorre inoltre considerare che 94 istituti penitenziari, nel 2018, hanno registrato un sovraffollamento oscillante tra il 120,7% e il 204,2%. In questi 94 istituti sono presenti 37.506 detenuti in 26.166 posti con un sovraffollamento medio del 143,3%, sicché il 62,5% della popolazione detenuta vive in un sovraffollamento di gran lunga superiore alla media nazionale. Più del 33% dei detenuti è in attesa del primo giudizio o della definizione del giudizio di appello. Tempi che sono destinati ad allungarsi in conseguenza della sospensione delle attività giudiziarie. Condizioni che hanno provocato un aumento dei suicidi: tra il 2013 e il 2016 erano stabilmente al di sotto del numero di 50 all’anno, ma sono diventati 52 nel 2017 e 63 nel 2018.
“Le misure adottate dal governo con il decreto Cura Italia – spiega l’avvocato Guido Camera - non sembrano purtroppo in alcun modo sufficienti a risolvere tali problemi e nemmeno a garantire adeguatamente il diritto alla salute del personale di custodia e dei detenuti. La Corte europea dei diritti dell’Uomo, in una storica sentenza del 2013, ha chiaramente stabilito che quando lo stato non è in grado di garantire a ciascun detenuto condizioni detentive conformi all’articolo 3 della Convenzione, la Corte lo esorta ad agire in modo da ridurre il numero di persone incarcerate, in particolare attraverso una maggiore applicazione di misure punitive non privative della libertà. A quest’ultimo riguardo, la Corte è colpita dal fatto che il 40% circa dei detenuti nelle carceri italiane siano persone sottoposte a custodia cautelare in attesa di giudizio”.
“Il decreto Cura Italia – afferma il prof Aldo Travi- interviene, in materia penitenziaria, in due modi: il primo intervento è strettamente economico e consiste nello stanziamento di 20 milioni di euro, principalmente destinati all’attività di ristrutturazione delle carceri danneggiate dalle rivolte; il secondo consiste in un ampliamento delle norme sullo 'svuotacarceri' del 2010”.
“Non sono previsti – afferma il professore Eugenio Bruti Liberati - interventi e fondi specifici per garantire il diritto alla salute dei detenuti non destinatari dei provvedimenti di scarcerazione, che rimarranno un numero molto significativo. In concreto, i detenuti per reati di minore gravità che hanno meno di 18 mesi di pena da scontare lo faranno agli arresti domiciliari (si tratta di una parte esigua della popolazione carceraria, visto che il decreto esclude molte categorie di detenuti, tra cui i delinquenti abituali, che spesso sono tossicodipendenti); se però il residuo di pena è superiore ai 6 mesi, dovranno indossare il braccialetto elettronico, ovvero uno strumento di controllo a distanza che in astratto potrebbe essere considerato efficiente ma la cui carenza nel nostro sistema è da tempo nota a tutti gli operatori del settore, e che il decreto Cura Italia non risolve”.
“Le nuove misure adottate – spiega il professor Fabrizio Cassella - dovrebbero riguardare circa 3 mila detenuti: dunque la situazione di sovraffollamento carcerario rimarrà ancora allarmante, dato che i carcerati rimarranno circa 58 mila, a fronte di circa 45 mila posti. Ma, soprattutto, in assenza di interventi organici sul sistema, è destinata a tornare uguale (se non a crescere) in tempi purtroppo brevi. Senza contare che l’assenza di braccialetti elettronici – ovvero la condizione necessaria per scarcerare chi ha più di 6 mesi di detenzione ancora da espiare – rischia di ridurre significativamente il numero degli scarcerati effettivi”.
“Le misure adottate nel decreto Cura Italia – concludono i giuristi di Italiastatodidiritto - non appaiono sufficienti a garantire i diritti costituzionali dei detenuti, definitivi o in attesa di giudizio che siano, e non è una differenza da poco, in uno stato dove la presunzione di innocenza è scolpita nella Costituzione. Per questi ultimi, peraltro, il decreto Cura Italia non prevede alcuna disposizione che tuteli la loro salute, come avrebbe potuto fare, ad esempio, il ricorso agli arresti domiciliari anche in fase cautelare, rovesciando l’attuale sistema in cui viene sempre incentivato il ricorso al carcere come unico strumento coercitivo idoneo a garantire le esigenze cautelari. E’ importante che il governo e le forze politiche agiscano in questa situazione d’urgenza, ma soprattutto che il ministro della Giustizia riattivi il percorso svolto dagli stati generali dell’esecuzione penale, per giungere a una riforma complessiva dell’ordinamento penitenziario che consenta l’effettivo rispetto di tutti i princìpi fondamentali della Costituzione e della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo”.