Un'idea per rendere le carceri gestibili, subito
Bisogna fare uscire un numero significativo di detenuti, escludendo i più pericolosi
Covid-19 ha mutato il nostro modo di vita, ha determinato sofferenze e lutti, conseguenze drammatiche sull’occupazione e sull’economia. Nulla è e sarà più come prima. E’ possibile affidarsi alla sorte pensando che il pianeta carcere sia in un altro sistema solare? Gli agenti armati sulle mura di cinta vigilano contro le evasioni, ma non fermano il virus. Vi è una serie di contatti con l’esterno che passano per gli agenti penitenziari e per le molte persone che contribuiscono alla gestione della struttura. In caso di epidemia la situazione rischia di andare fuori controllo; sarebbe difficile garantire protezioni agli stessi agenti penitenziari, ai direttori e a tutto il personale che opera in carcere.
Tra i detenuti, il timore per l’infezione, eventualmente anche sollecitato e sfruttato da quei pochi, ma di peso, detenuti pericolosi, potrebbe rendere la situazione ingestibile. L’esperienza, anche recentissima, mostra che le prime vittime delle rivolte in carcere sono i detenuti non pericolosi (la grande maggioranza), assoggettati alle sopraffazioni dei pochi pericolosi. Le ricadute di situazioni fuori controllo sull’ordine e la sicurezza pubblica sarebbero disastrose. Ridurre il sovraffollamento del carcere è oggi necessario e urgente. Vi sono stati appelli di alte autorità in Italia e in Europa; analisi e proposte dell’Associazione italiana dei professori di Diritto penale e della magistratura di sorveglianza.
Il Procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi si è rivolto a tutti i magistrati: “L’emergenza coronavirus costituisce un elemento valutativo nell’applicazione di tutti gli istituti normativi vigenti”. I magistrati di sorveglianza sono impegnati, in condizioni difficilissime, nell’applicazione delle attuali misure alternative al carcere, ma ne hanno indicato al ministro della Giustizia l’assoluta insufficienza.
Le proposte tecniche non mancano: dalla immediata detenzione domiciliare per coloro con residuo di pena non superiore a due anni, alle riduzioni di pena per la “liberazione anticipata per buona condotta”, alla sospensione degli ordini di esecuzione per i reati non gravi. Per i semiliberi disporre che non rientrino in carcere la sera. E poi lasciamo da parte ipocrisie intollerabili. Non riusciamo a produrre in numero sufficiente di apparecchi di respirazione, camici e nemmeno di mascherine. Pensa qualcuno, il Ministro o altri, che oggi con una bacchetta magica compaiano quei braccialetti che ieri non c’erano? E’ fuori del mondo la sicurezza matematica che nessuno di coloro che usciranno dal carcere commetta nuovi reati. Ma indiscusse statistiche di lungo periodo hanno dimostrato che la percentuale di recidiva è enormemente più bassa per chi è stato ammesso a misure alternative alla detenzione.
Piuttosto, occorre pensare a strutture essenziali dove far alloggiare e quindi anche poter controllare coloro che un domicilio non l’hanno. La situazione di quasi-coprifuoco che è in atto riduce di molto la concreta possibilità di compiere quei reati predatori che più possono preoccupare. Le mura di cinta del carcere non tracciano la rassicurante linea tra i buoni e i cattivi. In carcere sono legittimamente detenute persone condannate per aver commesso un reato o in custodia cautelare, quando il sistema di giustizia ha ritenuto questa misura indispensabile. Per tutta la mia carriera mi sono occupato di penale e per diversi anni sono stato magistrato di sorveglianza. In carcere ho conosciuto sia molti violenti e sopraffattori, sia persone, anche tra condannati per reati non lievi, che non potevo liquidare con la categoria dei “cattivi”. Tutti gli argomenti “umanitari” sono già stati messi in campo.
Ma vi è un argomento puramente utilitaristico. E’ nell’interesse generale della collettività, se si vuole delle persone “per bene”, che il carcere sia gestibile, facendo uscire subito un numero significativo di detenuti, con esclusione delle categorie di pericolosi. Nell’interesse dell’ordine e della sicurezza pubblica. Ora vi è un ruolo per gli intellettuali: personaggi pubblici autorevoli, non solo giuristi, di diverse tendenze, compresi rispettabili sostenitori di “legge e ordine”, di “tough on crime”, ma consapevoli dell’eccezionalità della situazione si impegnino a far passare un messaggio di razionalità, che possa far breccia nell’opinione pubblica e indurre tutte le forze politiche, il ministro della giustizia e anche le forze della attuale opposizione, a un’assunzione di responsabilità.
* Edmondo Bruti Liberati è magistrato, già procuratore capo di Milano