Government Bureau, dipinto di George Tooker del 1956 - Metropolitan Museum of Art (Met), New York City

Perché non c'è ripresa senza la drastica semplificazione degli appalti

Ermes Antonucci

“La ripresa economica post Covid-19 passa per una drastica cura dimagrante dello Stato, delle sue funzioni e dei suoi tempi. O semplifichiamo o moriamo”. Parla Gianluca Maria Esposito, docente di Diritto amministrativo alla Sapienza

Roma. “La ripresa economica post Covid-19 passa per una drastica cura dimagrante dello Stato, delle sue funzioni e dei suoi tempi: non si può aspettare anni per aggiudicare una gara, oltre ai tempi ineluttabili per i due gradi di un giudizio a cui puntualmente si assiste, in attesa che un giudice decida se un appalto pubblico è regolare o meno. Intendiamoci bene: o semplifichiamo o moriamo”. E’ netto il giudizio di Gianluca Maria Esposito, docente di Diritto amministrativo all’Università La Sapienza di Roma, sulle riforme necessarie al paese per far ripartire l’economia una volta superata l’emergenza sanitaria. “L’Italia esce dalla crisi solo con una riforma d’urgenza della Pa – spiega Esposito – Bisogna archiviare il modello di burocrazia di stampo ottocentesco, che condiziona quotidianamente la vita delle imprese, con provvedimenti, permessi, nulla osta, autorizzazioni, controlli. La complessità globale si cura con lo schema dell’iniziativa economica dell’art. 41 della Costituzione, ove tutto è concesso salvo espresso divieto”.

 

Questa rivoluzione avrebbe una straordinaria forza trainante per l’intero sistema produttivo ed economico. La stessa logica deve ispirare una semplificazione degli appalti pubblici, che con il suo volume di circa il 15 per cento del Pil sposta l’asticella della crescita”, prosegue il docente. “Non ci si illuda di poter ripartire con i vecchi schemi. Il paese non ha più la forza per farcela: presso la Consip giacciono ferme gare bandite dal 2014 e che ancora oggi non hanno un aggiudicatario definitivo. Ci sono appalti di centinaia di milioni di euro in sospeso. Stiamo parlando di spesa pubblica inutilizzata, di occupazione incagliata, di imprese che restano appese nei loro piani di sviluppo economico”.

  

Il problema è ben presente nel dibattito pubblico, ma il codice degli appalti del 2016, nato con un peccato originale, quello di voler combattere la corruzione attraverso le procedure degli appalti, non è mai stato sottoposto a una vera riforma organica. Negli ultimi giorni, però, c’è chi si è spinto a proporre un’abolizione del codice. “Non ci si può sottrarre all’osservanza delle norme sugli appalti, anche perché, in quanto stato membro dell’Ue, siamo tenuti ad applicare le direttive europee”, afferma Esposito. Né si può pensare di fare della deroga la regola: il “modello Genova” è un’eccezione motivata, al pari del ricorso al commissario per l’emergenza Arcuri: “Si tratta di soluzioni corrette, proprio in quanto limitate a casi straordinari ed indifferibili, ma non si può andare oltre perché l’Ue ci sanzionerebbe. Il ‘modello Genova’ significa mettere in cantina il principio di concorrenza, quindi se fosse generalizzato saremmo fuori legge”.

  

“Peraltro – spiega Esposito – le norme europee, nella loro versione originale, sono molto più semplici di come le abbiamo interpretate e trasfuse noi nel codice degli appalti. Di conseguenza, si potrebbe anche pensare di eliminare il codice e dare diretta applicazione alle direttive. In ogni caso, sia che il codice venga abrogato, con applicazione in via diretta delle direttive, sia che venga riformato, l’importante è la radicale semplificazione delle procedure di gara. Questo significa contingentare il tempo di aggiudicazione e ampliare i casi di negoziazione senza gara”.

 

Inevitabile anche un ripensamento dell’Autorità nazionale anticorruzione: “La lotta alla corruzione spetta alle procure e ai giudici, non all’Autorità di governo. A guidare l’Anac vedrei un super manager al quale chiedere un rilancio epocale della spesa pubblica per infrastrutture, lavori, servizi pubblici”, dichiara Esposito.

  

E’ sufficiente, però, soltanto ipotizzare una riforma del codice degli appalti per spingere i soliti portavoce del giustizialismo a denunciare un trionfo delle tangenti. “La corruzione è un effetto della complessità dell’attuale sistema normativo, si annida proprio laddove la burocrazia è inefficiente. Ma se l’amministrazione è efficiente, lo spazio per la corruttela si riduce tantissimo”, replica Esposito. “Lo Stato si salva solo se cambia mestiere. A produrre valore economico è l’impresa. Lo Stato deve riappropriarsi della sua funzione di programmazione negoziata degli obiettivi, affidandone l’esecuzione ai privati e controllando che quest’ultimi li realizzino”. Ma tutto questo mal si concilia con il caos normativo italiano: “La più importante legge che lo Stato non ha ancora varato è quella che limita l’abuso della legge stessa e che spieghi al legislatore come varare una norma, senza rimandi infiniti a commi, articoli, leggi che neppure il più esperto giurista conosce”.