Una frattura insanabile fra i 5 stelle e l'antimafia
Il magistrato Di Matteo attacca Bonafede sulla propria nomina al Dap e ricicla il canovaccio della Trattativa, diventata verità nei talk prima delle sentenze, e che ora ritorna nelle arene televisive
Si erano tanto amati quelli del Movimento 5 stelle e il magistrato Antonino Di Matteo. Con i primi a prendere l'ex pubblico ministero, oggi al Csm, come esempio, offrendogli di entrare nella macchina del governo, e il secondo pronto ad applaudire il codice etico del grillini prima e poi ad accogliere come una svolta, tanto attesa quanto necessaria, il blocco della prescrizione voluto dal ministro della giustizia Alfonso Bonafede.
Ieri sera c'è stata un'insanabile frattura. Bonafede e Di Matteo hanno scelto l'Arena, mai nome è stato più azzeccato, di Massimo Giletti per consumare lo strappo. Di Matteo tira fuori una vecchia storia di due anni fa. Dice che nel 2018 Bonafede gli ha offerto di dirigere il Dap. Non se ne fece più nulla. Alla fine fu scelto Francesco Basentini che pochi giorni fa si è dimesso travolto dalle polemiche per le rivolte carcerarie e per le scarcerazioni dei boss mafiosi. Scarcerazioni che per la cronaca non vengono decise dal capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, ma dai tribunali di Sorveglianza. Il Coronavirus in molti casi nulla c'entra, i detenuti vanno ai domiciliari per motivi di salute, ma a Basentini è stata contestata una circolare con cui chiedeva il monitoraggio dei detenuti over 70 e malati. Per molti è stata una sorta di via libera alle scarcerazioni.
Bonafede decide di intervenire in diretta. Spiega che a Di Matteo fu offerta anche la direzione degli Affari penali. Mica l'ultimo degli incarichi. Ricorda, infatti, che un tempo fu ricoperto da Giovanni Falcone. È il sospetto appena accennato da Di Matteo, il magistrato più scortato d'Italia, a scatenare il botta e risposta.
Il pm della Trattativa stato-mafia ricorda che ricevuta la proposta di ricoprire uno dei due incarichi, al Dap o agli Affari penali, chiese 48 ore di tempo per rifletterci. Quando incontrò Bonafede per dirgli che accettava il Dap “improvvisamente il ministro mi disse che ci aveva ripensato e nel frattempo avevano deciso di nominare il dottor Basentini. Ci aveva ripensato o forse qualcuno lo aveva indotto a ripensarci", aggiunge Di Matteo che cita alcune informazioni che il Gom della polizia penitenziaria aveva trasmesso alla procura antimafia e anche al Dap. Le intercettazioni avevano carpito il malessere dei boss detenuti: se avessero nominato Di Matteo per loro era la fine.
Lo stato che cede al ricatto. Lo stesso stato che in epoca di pandemia sanitaria manda ai domiciliari alcuni boss. Il canovaccio si ripete. Di Matteo, subito dopo le prime scarcerazioni, si è detto preoccupatissimo per il messaggio di debolezza dello stato di fronte alle rivolte carcerarie. Dopo la concessione dei domiciliari al mafioso palermitano Francesco Bonura, malato di cancro, Di Matteo ha fatto un esplicito riferimento alla Trattativa stato-mafia. È sì un canovaccio, e pure circolare. Della Trattativa per anni si è parlato nei talk show televisivi, dove l'esistenza del patto sporco è diventata verità prima ancora che arrivassero le sentenze, e ora ritorna nelle arene televisive.
Si consuma una frattura insanabile fra il mondo dei 5 Stelle e l'antimafia. Bonafede, che da ministro attira su di sé critiche e a volte ilarità, va allo scontro con un simbolo dell'antimafia dura e pura. Non sarà facile per lui reggere il confronto. Può solo sperare che la nomina di Dino Petralia al Dap e di Roberto Tartaglia come vice plachi la polemica tenendo conto che Tartaglia assieme a Di Matteo rappresentava l'accusa al processo palermitano sulla Trattativa. Sarebbe imbarazzante, soprattutto per loro il fatto di essere stati scelti da un ministro che ha “scartato” di Matteo perché la sua nomina non era gradita ai boss.