(foto LaPresse)

Cencelli di Via Arenula

Ermes Antonucci

Un ministero a misura di corrente. L’ipocrisia di Bonafede sulle derive correntizie dei magistrati italiani

Roma. In un’intervista a La Stampa, due giorni fa, il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede è tornato a criticare il sistema delle correnti nella magistratura. “Stiamo intervenendo in modo radicale sulle degenerazioni malate del correntismo”, ha dichiarato il Guardasigilli. Insomma, “basta con il correntismo” e con la commistione tra toghe e politica denunciata anche dal presidente Mattarella: “Il presidente ha ragione. Mi sto muovendo per combattere le degenerazioni del correntismo da un lato, ma anche per alzare un muro tra politica e magistratura dall’altro”.

 

La dura presa di posizione di Bonafede giunge in seguito al nuovo terremoto che ha travolto il mondo togato, con la nuova ondata di pubblicazione delle conversazioni intercettate con il trojan inoculato nel telefono del pm romano (indagato e sospeso) Luca Palamara, leader della corrente Unicost. La critica del Guardasigilli al sistema correntizio, però, sembra arrivare a scoppio ritardato. 

 

 

Bonafede, infatti, non sembrò preoccuparsi molto delle “degenerazioni correntizie”, né della necessità di “alzare un muro tra politica e magistratura”, quando nel giugno del 2018 venne nominato ministro della Giustizia. Anche Bonafede, come i suoi predecessori, decise infatti di realizzare una bella infornata di magistrati negli uffici del ministero, ovviamente sulla base del bilancino correntizio.

 

La corrente di Palamara, Unicost, all’epoca non ancora travolta dallo scandalo, ottenne nomine pesanti, come quella di Fulvio Baldi (sostituto pg della Cassazione) a capo di gabinetto del ministero, e quella di Francesco Basentini (procuratore aggiunto a Potenza) alla guida del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap). Leonardo Pucci, giudice del lavoro ad Arezzo ed ex compagno di università di Bonafede, venne invece nominato vicecapo di gabinetto.

 

Autonomia e Indipendenza, la corrente guidata da Piercamillo Davigo, non ottenne – come ormai noto – la guida del Dap con il pm Nino Di Matteo (che poi sarà eletto al Csm), ma conquistò comunque il vertice del Dipartimento per gli affari di giustizia, con Giuseppe Corasaniti, procuratore aggiunto in Cassazione, pochi mesi fa sostituito da Maria Casola, ex dg della Direzione generale magistrati e appartenente a Unicost.

 

Il cartello di sinistra Area, che raggruppa le correnti Magistratura democratica e Movimento per la giustizia, ottenne le conferme di Barbara Fabbrini a capo del Dipartimento dell’organizzazione giudiziaria, del personale e dei servizi, e di Donatella Donati a direttore generale degli Affari interni (recentemente sostituita da Giovanni Mimmo, di Unicost). Ad Area appartiene inoltre Mauro Vitiello, altro sostituto pg in Cassazione, nominato capo dell’Ufficio legislativo.

 

Insomma, la girandola di nomine ministeriali compiute da Bonafede sembra aver visto trionfare proprio la corrente di Palamara Unicost. Incarichi importanti anche per esponenti della corrente di Davigo e di Area, mentre venne esclusa completamente dalle nomine Magistratura Indipendente, ritenuta troppo vicina all’ex magistrato ed ex sottosegretario alla Giustizia Cosimo Ferri.

 

C’è da dire, tuttavia, che diverse nomine compiute da Bonafede non hanno avuto molta fortuna. Da quando l’esponente grillino si è insediato a Via Arenula, hanno infatti rassegnato le dimissioni il capo degli ispettori Andrea Nocera (indagato per corruzione), il capo di gabinetto Fulvio Baldi (intercettato con Palamara) e il direttore del Dap Francesco Basentini (per l’ormai famosa vicenda dei detenuti scarcerati durante l’emergenza Covid-19). E le ripercussioni del “caso Palamara” non sembrano ancora essere finite.