Il diritto penale totale
Caso zone rosse, prestiti delle banche, infortuni sul lavoro. Tre strade per una nuova esondazione della magistratura
Il complesso delle norme adottate per contrastare la pandemia e i negativi effetti economico-sociali della stessa hanno suscitato gli interessi dei giuristi, in particolare dei costituzionalisti e dei penalisti. Così, è stato rilevato il problema del bilanciamento fra il valore della salute individuale e collettiva e altri valori di primario rilievo (libertà individuale, libertà di iniziativa economica, ecc.); nel contempo si sono studiate le tipologie di sanzioni reputate idonee ad assicurare il rispetto delle regole.
In queste righe intendo soffermarmi su un altro aspetto. Pandemia e norme collegate determineranno fra breve una espansione ulteriore del diritto penale (che già avevo definito “totale” in un mio recente lavoro) e correlativamente dei poteri della magistratura inquirente.
Vedo tre vie di espansione. La prima concerne l’elevato livello di contagio e di mortalità che si è verificato: il che induce a ricercare anomalie nello sviluppo causale dei fatti e quindi a ricercare negligenze nell’attività di operatori sanitari. Ma non solo: gli inquirenti sono interessati anche a vagliare l’organizzazione della struttura sanitaria al fine di accertare eventuali mancanze organizzative. Con possibilità di risalire molto in alto nella scala gerarchica burocratica, fino anche ai vertici governativi. Del resto è nota già oggi l’indagine della procura di Bergamo volta a accertare quale sia l’istituzione competente a delimitare le zone rosse.
Come spesso capita, al tempo degli applausi e dei riconoscimenti subentra il tempo della conflittualità.
La seconda via concerne la disposizione del decreto c.d. “Liquidità” (23/2020) che prevede il finanziamento alle imprese tramite banche e con garanzia pubblica. Come è già stato rilevato, questa tipologia di finanziamento espone la banca ad accuse di bancarotta qualora ex post si constati che il finanziamento sia stato erogato a un’azienda già in crisi. E’ un noto orientamento giurisprudenziale: un finanziamento a un’azienda in crisi ne prolunga indebitamente la vita, con pregiudizio per i creditori vecchi e nuovi. Tesi ben gradita dai curatori che possono aggredire il patrimonio della banca a titolo di concorso di persone con l’imprenditore. Nella realtà di oggi, poi, il fenomeno si accentua: per effetto di altra disposizione del citato decreto (art. 10) il debitore può legittimamente rappresentare la propria situazione economico-finanziaria con poca trasparenza. Dunque, la banca eroga il finanziamento senza neppure avere la copertura penale prevista solitamente dall’art. 217 bis legge fall., norma che prevede esenzione da responsabilità nel contesto di piani di ristrutturazione. La garanzia pubblica non conta nulla al riguardo, esonerando tutt’al più il banchiere erogatore dalla responsabilità interna all’ente bancario verso i soci.
La terza via è ancora più foriera di espansioni penalistiche. Mi riferisco all’art. 42 del d.l. 18/2020 che assimila il contagio da coronavirus a un infortunio sul lavoro. La norma è poco perspicua: incentra la disciplina sulla certificazione medica e parla inoltre di “occasione” del contagio, nozione ben più ampia della causalità. L’Inail cerca di minimizzare il problema, alludendo al fatto che l’assimilazione fra le due figure attiene principalmente al dato di tutela risarcitoria a cui provvede l’Inail stesso. Ma non è facile essere tranquilli. Sarà sufficiente una mascherina male indossata o una distanza non appieno mantenuta per promuovere un giudizio penale, anche ai sensi del decreto 231/2001. Certo l’accertamento causale fra una eventuale colpa del datore di lavoro e il contagio sarà complesso: ma intanto il procedimento inizia, con tutte le conseguenze anche extrapenali che sono note.
Si potrà arginare questo attivismo penale di cui non si sentiva il bisogno? Nella specie era sufficiente dare ascolto alle categorie interessate che invocavano lo scudo penale, ampiamente giustificato anche dalla situazione di assoluta emergenza. Certo uno scudo non impedisce l’avvio di un procedimento penale, ma sicuramente ne condiziona gli esiti. Ma, a quanto pare, tale prospettiva si presenta ancora oggi del tutto anacronistica.