Zone rosse, accuse e indagini. Di nuovo è politica vs magistrati?
E’ “una forzatura” il voler processare il rapporto tra gestione centrale e locale della pandemia, dice Emanuele Macaluso
Roma. E’ mattina quando il procuratore aggiunto di Bergamo Maria Cristina Rota – allieva di Armando Spataro, esperta di reati finanziari, già sostituto procuratore minorile a Milano ai tempi dell’uccisione della suora Maria Laura Mainetti a Chiavenna – varca la soglia di Palazzo Chigi con tutto il pool che indaga sulla mancata istituzione di una zona rossa in Val Seriana, ad Alzano e a Nembro. E’ un’immagine evocativa di altre immagini e altre stagioni, momenti in cui un potere dello stato è entrato anche plasticamente nel campo di un altro. Prima fra tutte le immagini, quella dei magistrati che varcano la soglia del Quirinale per ascoltare il presidente emerito Giorgio Napolitano nell’ambito del processo Stato-mafia, nel 2014. E oggi, al primo svincolo fuori dal tunnel della pandemia, con tutte le incognite sanitarie, sociali ed economiche aperte, ci si trova di nuovo di fronte al tema che molto ha contato nell’assetto politico con cui si è arrivati, dopo la fine della Prima e della Seconda Repubblica, al governo giallorosso della Terza.
La pm Rota, dopo tre ore, è uscita dicendo che il clima era stato “di massima distensione e collaborazione”; e il premier Conte assicurava di “aver chiarito tutto”, ma il problema sottostante restava: quanto è giudiziaria e quanto è politica la questione? Dove mettere il confine tra potere politico (con eventuale conflitto tra potere centrale e poteri locali) e potere giudiziario, e come tenere conto, senza scambiarsi di ruolo, della reazione dell’opinione pubblica provata dal lutto e dal trauma appena vissuto, specie al Nord? E come fare in modo che il sospetto, in sé, non diventi protagonista della scena più dei protagonisti effettivi, tanto più in una situazione in cui l’evento a monte è una pandemia? Non a caso, al pm Rota, fuori da Palazzo Chigi, anche ieri, è stato chiesto conto di una sua frase detta al Tg3 il 29 maggio, in cui era sembrato che parlasse di “responsabilità” del governo (Rota ha negato, riferendosi “alle dichiarazioni agli atti in quel momento”). Messo in ombra dall’irrompere del virus, il nodo del rapporto politica-magistratura è di nuovo sulla scena? Emanuele Macaluso ha vissuto varie stagioni in cui il rapporto dialettico tra poteri è virato in “conflitto”, e oggi vede “una forzatura” il voler mandare eventualmente a processo il rapporto tra gestione centrale e locale della pandemia: “Nessuno sapeva all’inizio che cosa fosse questo virus. Cercare una eventuale responsabilità penale in un evento simile mi sembra un segnale del voler ribadire che il potere giudiziario è potere determinante anche nella vicenda politica”.
Chi può istituire la zona rossa? Quali le sfere di competenza? E’ materia che investe il diritto costituzionale, a partire dal decreto legge 23 febbraio 2020 approvato per evitare la diffusione del Covid-19 (in quel frangente dieci comuni furono dichiarati zona rossa). Nel decreto si contemplava il caso in cui le Regioni potessero agire “nelle more dell’azioni dei decreti del presidente del Consiglio in casi di estrema necessità e urgenza”.
Casi in cui il presidente della giunta regionale e il sindaco possono emettere ordinanze anche in base alla legge del 23 dicembre 1978 in materia di igiene e sanità pubblica, come fa notare il costituzionalista Mauro Volpi: “C’è un problema di competenze, problema politico”, dice. Il costituzionalista Stefano Ceccanti, deputato pd, si sofferma sul fatto che, in questo caso, “la procura di Bergamo non sarebbe neppure competente. La legge costituzionale 1/1989 sui reati ministeriali è rigorosissima: ‘Il procuratore della Repubblica, omessa ogni indagine, entro il termine di quindici giorni, trasmette con le sue richieste gli atti al Tribunale dei ministri che, nel caso, si rivolge alla Camera di appartenenza o, nel caso di non parlamentari, al Senato”.
Ai pm di Bergamo ora la decisione.