Il nuovo Dap dice che nelle carceri va tutto bene, ma non è così
Sospesa la circolare che facilitava la scarcerazione per motivi sanitari, perché "il numero dei positivi al Covid-19 è in costante diminuzione". Ma i dati sulle positività non sono così chiari, e il sovraffollamento persiste
Roma. La nuova direzione del Dap ha sospeso la circolare del 21 marzo che chiedeva ai direttori dei penitenziari italiani di indicare – per contrastare il contagio nelle carceri – i nomi dei detenuti con più di 70 anni affetti da patologie. Motivo? “Il numero dei ristretti positivi al Covid-19, pari oggi a 66 persone su poco più di 53 mila detenuti, è in costante diminuzione”, dicono i nuovi vertici del Dap, il capo Bernardo Petralia e il vice Roberto Tartaglia, e “negli istituti penitenziari risultano in atto protocolli di prevenzione del rischio di diffusione del contagio”.
I vertici del Dap dunque nella sospensione della circolare richiamano le “recenti norme che testimoniano di un minore rischio di diffusione del contagio: il superamento delle limitazioni agli spostamenti per tutti i cittadini e, in ambito penitenziario, il ripristino dei permessi premio e del regime di semilibertà, la reintroduzione dei colloqui fisici, i protocolli di prevenzione tuttora in atto negli istituti penitenziari e il numero di ristretti positivi al Covid-19 in costante diminuzione”. Per Emilio Santoro, filosofo del diritto, si tratta di un “pessimo segnale” della nuova direzione. “La circolare – dice Santoro al Foglio – non faceva che ricordare, in un momento particolare, un dovere che le direzioni hanno sempre: quello della tutela della salute dei detenuti. Che le direzioni debbano sottoporre ai magistrati di sorveglianza i rischi per la salute delle persone affidate alla loro cura (oltre che controllo) è un dato certo nell’ordinamento. Se non lo facessero ne deriverebbe una violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (che proibisce la tortura e i trattamenti inumani e degradanti) e una responsabilità da contatto sociale secondo la normativa nazionale”.
Entrambe le cose, aggiunge Santoro, “se fatte valere giudizialmente costerebbero parecchie migliaia di euro allo stato e sarebbe legittimo che questo chiamasse i direttori che non hanno fatto le segnalazioni a rispondere del danno erariale. La revoca della circolare è un pessimo segnale della nuova direzione del Dap. Sembra dire ai direttori: ‘Non vi dovete preoccupare del diritto, che la Costituzione considera fondamentalissimo, alla salute delle persone che vi sono state affidate, lasciate che siano loro a fare le istanze’, cosa che con i tempi non brevissimi che queste prevedono può recare un danno irreparabile alla salute dei detenuti e compromettere anche la loro vita”.
Quella del Dap, insomma, è una mossa eminentemente politica, visto che non è l’amministrazione penitenziaria a decidere chi deve uscire dal carcere oppure no, ma sempre la magistratura di sorveglianza. Peraltro, la fase 2 delle carceri è tutt’altro che serena, come osserva Sofia Ciuffoletti, direttrice dell’Altro diritto. Quest’anno ci sono stati 23 suicidi in carcere, tre di questi sono avvenuti in Toscana, Campania e Piemonte proprio nelle sezioni Covid. “Questo significa che nella gestione dell’isolamento non sono state tutelate le persone che hanno sofferenze psichiche”. C’è dunque una distonia fra le considerazioni del Dap e la realtà delle cose: “I dati su chi è positivo e chi non lo è non sono chiari. In più, i colloqui si fanno ancora in videoconferenza e ai detenuti sono permessi incontri dal vivo soltanto una volta al mese”. L’altra questione, fondamentale, è il sovraffollamento, osserva Ciuffoletti. Dall’inizio dell’emergenza sanitaria a oggi sono state scarcerate 10 mila persone, “ma il paradigma normativo è rimasto lo stesso, nonostante in Italia la condizione di sovraffollamento endemico sia accertata da anni. In questi tre mesi c’è stata una corsa alle misure alternative, che io saluto naturalmente con grande favore, ma è solo temporanea e non di lungo periodo, destinata a non mantenersi. In dieci anni non siamo riusciti a deflettere il tasso di sovraffollamento, è stata necessaria una pandemia. Ma il nostro timore è che a breve ricomincerà a salire, perché il quadro normativo non è cambiato”.