Roma. “In questi anni abbiamo letto sui giornali ricostruzioni talmente fantasiose che, se possibile, hanno scioccato gli investitori più delle sentenze dei giudici”. E’ tranchant Pasquale Frega, attuale numero uno di Novartis Italia, all’indomani della sentenza con cui il tribunale di Roma, con la giudice Valeria Ciampelli, ha messo un punto alla famigerata vicenda Avastin-Lucentis. Due farmaci asseritamente sovrapponibili ma con prezzi assai diversi (80 euro l’uno, 900 l’altro) e un accordo collusivo, nascosto, tra due big pharma per scoraggiare l’acquisto di quello meno costoso: un teorema perfetto per colpevolizzare le aziende di un settore da sempre nell’occhio del ciclone, così da motivare sei anni di bailamme giudiziario, con indagini a tutto campo, 8.000 pagine di intercettazioni telefoniche, pedinamenti. “Negli ultimi sei anni – prosegue l’ad di Novartis – si è gettata una grave ombra sulla affidabilità del sistema Italia. Quando emergono inchieste giudiziarie, partono severissimi controlli interni che hanno molti più strumenti di qualunque autorità giudiziaria nel verificare l’operato del proprio management. Nel caso in questione, una volta accertato il giusto operato di Novartis Italia da parte del quartier generale di Basilea, l’attenzione si è spostata sulla costruzione della difesa dalle accuse dell’antitrust e poi delle altre autorità giudiziarie per i vari filoni di inchiesta. Questo ha comportato la delocalizzazione massiccia dalla gestione delle attività di ricerca e sviluppo, e la sospensione del giudizio su che tipo di futuro la società dovesse avere nel nostro paese. Novartis investe circa dieci miliardi di dollari solo in R&D ogni anno, e l’Italia non riceve la sua ‘fair share’. Questa vicenda esemplifica le difficoltà delle multinazionali ad operare in Italia”.
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