Le perizie dei consulenti dei pubblici ministeri hanno la priorità su quelle della controparte, scrivono i giudici mettendo nero su bianco un principio in contrasto con la Costituzione: la parità delle parti
Non accenna a placarsi l’indignazione dell’avvocatura italiana nei confronti di una recente sentenza con cui la terza sezione penale della Corte di Cassazione ha affermato un principio che ha dell’incredibile: nel processo la perizia del consulente del pubblico ministero vale più di quella della difesa, alla faccia del principio della parità delle parti e del giusto processo. Con la sentenza (n. 16458/2020), gli ermellini hanno respinto il ricorso di una signora barese condannata in appello per aver demolito e poi ricostruito un fabbricato in una zona con vincolo paesaggistico. Gli avvocati della donna avevano presentato ricorso sostenendo, sulla base di una consulenza di parte, che l’opera rientrava nella categoria degli interventi di manutenzione straordinaria o, al più, di restauro e risanamento conservativo. Secondo la difesa, nel condannare la donna i giudici non avevano prestato alcuna attenzione alla consulenza di parte, preferendo apoditticamente la perizia disposta dal pm. La Corte ha però dichiarato inammissibile il ricorso affermando che le conclusioni tratte dal consulente del pm, “pur costituendo anch’esse il prodotto di un’indagine di parte, devono ritenersi assistite da una sostanziale priorità rispetto a quelle tratte dal consulente tecnico della difesa”.
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