La lettera
Caro Giuliano, grazie, ma il garantismo non è un luogo comune
Difendere indistintamente i diritti dei poveri cristi gettati in cella senza avvocato e di Berlusconi, dei migranti e di Salvini, non è fuffa politicamente corretta ma difesa dello stato di diritto e interesse per la sofferenza di tanti
Caro direttore, ti ringraziamo innanzitutto del generosissimo spazio che il tuo giornale ha offerto al nostro “Per il tuo bene ti mozzerò la testa. Contro il giustizialismo morale” (Einaudi). Tanta attenzione ci induce a entrare nel merito di quanto scritto da Giuliano Ferrara sabato scorso.
Dopo aver definito il nostro come “un buon libro di cui c’era bisogno”, e questo basterebbe a blandire il nostro ego, Ferrara solleva, con elegante noncuranza, questioni importanti, che riguardano il funzionamento e la natura stessa dello stato di diritto. In effetti, la categoria di garantismo, come radicalmente avversa a quella di giustizialismo, rimanda a un giudizio sul nostro sistema democratico e sui princìpi, appunto, garantisti e liberali ai quali dovrebbe ispirarsi. Poi, le parole – com’è fin troppo noto – sono convenzioni e sappiamo che il termine “garantista” non piace a tanti, ma è utile a definire puntualmente le cose di cui vogliamo parlare. E non si tratta di fuffa, come sembra credere Ferrara quando scrive: “vedo nell’ipergarantismo, soprattutto di questi tempi, una chiacchiera politicamente correttissima, che non mi assomiglia e non frequento di mio”, e più oltre: “La litania liberale e radicale del garantismo in sé non mi affascina […]. La trovo un altro dei tanti modi di manipolare il discorso pubblico, uno dei più decenti, d’accordo, ma nel dizionario delle idee ricevute, dei luoghi comuni, metterei senz’altro la voce: garantismo”.
E’ qui che il nostro dissenso si fa profondo. Intanto per una ragione statistica: il garantismo, in Italia, è tuttora drammaticamente minoritario (altro che “dizionario dei luoghi comuni”). Atteggiamento culturale di pochi e opzione politica di pochissimi, se ci riferiamo a ciò che Ferrara chiama, chissà perché, “ipergarantismo”: e che è invece il solo garantismo possibile. Ossia quello che va applicato ai poveri cristi gettati in galera senza uno straccio di avvocato, così come a Silvio Berlusconi. Sia all’immigrato irregolare, sia, ci vogliamo rovinare, a Matteo Salvini. Coloro che, al contrario, pretendono diritti e garanzie solo per Berlusconi e per Salvini, sono cosa diversa e poco interessante. Per questo ci permettiamo di dire che l’impostazione di Ferrara sembra tutta rinchiusa dentro una prospettiva mediatico-mondana, dove il garantismo è un’opzione tra le altre che equivale esattamente all’opzione opposta, finendo l’una con l’annullarsi nell’altra. In questa visione che tutto azzera e livella, le parole e le opere di Marco Travaglio, proprio perché intimamente calate nel circuito propagandistico-giudiziario, vengono valutate solo per la loro efficacia (tantissima, lo sappiamo) e per la loro capacità pervasiva (rilevante anche questa) e, così, vengono ridotte a una postura stilistica, a una variante dialettica, a un genere letterario come un altro.
Insomma, Travaglio – al quale il nostro libro dedica appena un 15 per cento delle sue pagine – sarebbe una semplice clausola del discorso pubblico, da accogliere con neghittosa curiosità e da apprezzare o meno in base esclusivamente al voto ottenuto nel recitare la sua parte in commedia. E, invece, il garantismo è tutt’altra cosa. Senza enfasi e senza alcuna concessione all’eroicismo delle “battaglie” e alla tentazione della “superiorità morale”, il garantismo muove, secondo la lezione di Marco Pannella, dal fondo oscuro dove precipita la crisi della giustizia: la cella. Il garantismo ha un senso perché denuncia il fatto che una norma di un governo di centrosinistra ha ridotto i gradi di giudizio per i richiedenti asilo, limitandone i diritti e introducendo una discriminazione rispetto ai cittadini italiani; e ha senso perché Giancarlo Pittelli, ex parlamentare di Forza Italia, è stato tenuto in isolamento per dieci mesi nel carcere di Nuoro. Insomma, dietro quel “dizionario delle idee ricevute” può esserci molta sofferenza.