Denis Verdini è un amico. E’ anche un compagno di strada che mi diede una mano quando ero alle prese con Di Pietro nel Mugello (1996). E’ un uomo allegro e di tempra fortissima, che ama la commedia all’italiana, ne esegue una strana traccia mimetica nella vita pubblica (osteria, famiglia, amici), e si diletta di canzonette e bagattelle con ironia. E’ uno che ama la politica, ha fatto la gavetta in Toscana, si è innamorato di Berlusconi e lo ha servito con la sua caparbia intelligenza delle cose, dei numeri, delle tattiche e delle strategie di conflitto. Il tipo è di quelli leali ma fermo nelle sue idee. Con il Nazareno, patto per la governabilità che ha permesso a Renzi tre anni fattivi a Palazzo Chigi e il varo di una riforma costituzionale poi bocciata in un referendum, ha configurato un capolavoro politico, fiorentino in ogni senso, che fu duro da liquidare per l’armata dei suoi nemici. Dopo la sconfitta la sua strada giudiziaria era segnata. Oggi verdetto definitivo, brutale e spicciativo, per bancarotta e carcere (l’accusa aveva chiesto in Cassazione di rifare il processo perché parecchie cose erano tutt’altro che chiare).
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