Non ho più l’età per fare sogni a occhi aperti, almeno in un orizzonte di vita personale. Ma come rinunciare a qualche speranza, a qualche auspicio nell’interesse generale, ora che il nuovo anno è alle porte? Certo, al primo posto rimane la preoccupazione che in questo momento accomuna tutti, e ci fa sperare di uscire al più presto dalla persistente emergenza sanitaria. Come c’è la speranza correlata che il nostro paese riprenda progressivamente il suo cammino, lasciandosi alle spalle le plurime crisi provocate dall’emergenza. Speranza che è suscettibile, a sua volta, di articolarsi in speranze o auspici più specifici, che ciascuno di noi vive in base alla propria sensibilità e ai propri interessi anche professionali.
Come anziano professore di Diritto penale, e anche come garante siciliano dei diritti dei detenuti, mi piacerebbe in particolare potere confidare che il nuovo anno propizi l’inizio di una fase nuova, di una svolta nel settore della giustizia penale. Una svolta innanzitutto culturale e, dunque, negli atteggiamenti e orientamenti collettivi. Che coinvolga, nello stesso tempo, tutti gli attori del teatro penale: interpreti principali, comprimari, comparse e spettatori. In altre parole, alludo agli addetti ai lavori a partire dai magistrati, ai politici, ai giornalisti televisivi e della carta stampata, inclusi i cittadini comuni. Questo auspicabile riorientamento collettivo dovrebbe, a mio avviso, manifestarsi in una duplice direzione che provo a sintetizzare così: ridurre il ruolo e il peso della giustizia penale nello spazio pubblico e nell’arena politica; prendere una buona volta coscienza – fuori da miopie, opportunismi politici e protagonismi giudiziari – che il processo penale, la condanna e la punizione non sono gli strumenti più adatti a contrastare i mali sociali di turno, e che anzi in non pochi casi rischiano persino di provocare effetti – sia sociali sia individuali – più negativi che positivi. Non c’è bisogno di essere specialisti della materia per accorgersene. Voglio ricordare che espliciti e allarmati ammonimenti contro l’ossessione repressiva e la demagogia punitiva, tipiche dell’oppressivo e regressivo populismo penale odierno, sono stati più volte lanciati anche da Papa Francesco.
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