Paolo Borsellino non fu ucciso perché c'era una trattativa fra la mafia e lo Stato. Non lo dicono i nemici della verità, ma i giudici. Per ultimi quelli che hanno scritto le motivazioni al processo di appello Borsellino quater, celebrato a Caltanissetta, e depositate ieri. “Abbiamo la certezza che la trattativa ci fu”, dissero nel 2018 i pm di primo grado Vittorio Teresi, Antonino Di Matteo, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia, piantando la bandierina delle condanne pesantissime inflitte nel processo principale in corte di assise a Palermo. Antonio Ingroia, che già era andato via ma che del processo rivendicava la paternità, si spinse oltre: “Da oggi finalmente si può, e anzi si deve, togliere l'aggettivo ‘presunta’ accanto alla parola ‘trattativa’”. Come se il garantismo fosse una banale questione linguistica. Da allora la sentenza è un santino che si tira fuori ad ogni obiezione, ad ogni critica, ad ogni tentativo di dissentire dalla narrazione comune sulla stagione delle stragi. Ci si arrocca su una posizione che tanto piace, ma che processualmente è rimasta isolata o quasi.
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