Sul carcere Cartabia sarà divisiva
Il tema le è caro, da presidente della Corte costituzionale portò nelle prigioni i giudici della Consulta. Avrà libertà d’azione (e di lite con Salvini)
I provvedimenti necessari (obbligatori) per migliorare il sistema di giustizia civile sono scritti nelle Country specific recommendation per il 2019-20 a cui puntualmente rimanda il Next Generation Eu, come ha indicato Mario Draghi nel discorso per la fiducia. Poco o niente spazio per litigare, o per procrastinare, da parte dei partiti delle larghissime intese. Poco o niente spazio per litigare anche sulla riforma della prescrizione. Come dimostra l’odg concordato in commissione Giustizia dalla neo ministra Marta Cartabia, dopo che Fratelli d’Italia aveva provato a far esplodere la contraddizione (“Il nuovo ministro della Giustizia si comporta esattamente come il suo predecessore”) con un emendamento al Milleproroghe che chiedeva di cancellare l’abolizione della prescrizione di bonafediana memoria. Emendamento bocciato, governo che si impegna “ad adottare le necessarie iniziative di modifica normativa ma solo all’interno delle riforme della complessiva riforma dei processi”.
Augurandosi che gli interventi di giustizia civile procedano su un binario spedito, ed essendo evidente che la modifica della prescrizione non verrà affrontata (curiosamente, nei giorni dei “tavoli” per cercare una maggioranza per il Conte ter, Andrea Orlando aveva proposto a Italia viva una soluzione analoga: intervenire sulla prescrizione solo se la riforma del processo penale non fosse arrivata in tempi certi. I renziani, sdegnosamente, rifiutarono) resta da domandarsi quali saranno il compito specifico e il raggio d’azione del presidente emerito della Corte costituzionale, chiamata come tecnico d’alto rango a Via Arenula.
La nomina di Cartabia, costituzionalista, docente alla Bocconi, con vasta esperienza in sedi internazionali, è stata una delle più annunciate e meno messe in discussione durante la formazione del nuovo governo, e non soltanto per la nota stima di Sergio Mattarella oltre che di Draghi. In un settore che necessita di interventi persino drammatici, e ulteriormente devastato dall’ordalia grillina, serviva una personalità riconosciuta e non politica. Ma il campo d’azione non è esteso. Eppure c’è un settore ugualmente cruciale e su cui – per esperienza giuridica e per sensibilità – Cartabia potrebbe concentrare l’attenzione: le carceri e il sistema dell’esecuzione penale nel suo complesso. Nel suo percorso professionale e personale Cartabia ha incrociato più volte quei “pensieri impensabili che erano in attesa di essere pensati” – come scrive il criminologo e saggista Adolfo Ceretti in un breve libro scritto proprio assieme a Cartabia, Un’altra storia inizia qui. La giustizia come ricomposizione, edito da Bompiani, che rifletteva sulle idee di giustizia, pena, riconciliazione di Carlo Maria Martini. Il pensiero “in attesa di essere pensato”, appunto, di un’altra giustizia possibile. In un incontro di presentazione, aveva espresso “la convinzione che l’uomo può sempre essere salvato e che la pena deve essere volta a sostenere un cammino di recupero” e auspicato “la costruzione dì un sistema che assicuri l’armonia dei rapporti sociali; una cura che salvi insieme assassino e città”.
La “sua” Corte costituzionale è stata per la prima volta protagonista di visite nelle carceri: partendo da Rebibbia, il 4 ottobre 2018. E poi San Vittore, il minorile di Nisida e altri. Non è casuale che tra i sostenitori più speranzosi del suo mandato ci siano i Radicali come Rita Bernardini. Una delle strade è proprio riprendere in mano la riforma dell’esecuzione penale, che era stata malamente abbandonata ai tempi della riforma Orlando e poi definitivamente “buttata con la chiave” dal primo governo Conte, il più giustizialista della storia repubblicana. Va anche ricordato che la Consulta guidata da Cartabia ha portato attenzione sistematica ai “terreni del diritto penitenziario e dello stesso diritto penale sostanziale” (come si legge nella sua ultima relazione da presidente), ad esempio sui meccanismi premiali. Insomma una conoscenza anche diretta e una concezione del carcere come luogo non solo di erogazione di pene, ma anche di finalità rieducativa. Visione diametralmente opposta a quella di scuola Bonafede, il ministro che puntava ad abolire le misure alternative al carcere. Nel suo “principio della certezza della pena” il trattamento umano dei carcerati sottostava inderogabilmente “al principio inderogabile che chi sbaglia paga” (disse a Radio radicale). L’unica modalità di espiazione della pena era la detenzione, il resto “tutt’al più” poteva esser concesso “dopo anni”. Sull’altro lato della maggioranza di governo, il carcere è un terreno in cui è inevitabile lo scontro con la Lega, se l’Infiltrato Salvini ritenesse di non dover abdicare almeno a una delle sue bandiere, quella del “buttare la chiave”. L’intervento è urgente, come dimostrano non solo le sentenze europee ma anche la situazione sanitaria degenerata in questi mesi. Quale possibilità di manovra potrà avere Cartabia, e che sostegno reale da parte dei partiti (spesso soi disant) garantisti della maggioranza, si vedrà presto. Così come le regole d’ingaggio con il fronte giustizialista: calcolando che, dall’opposizione, in caso di “cedimenti” della Lega, Giorgia Meloni avrà gioco facile contro Salvini.