editoriali
Così le procure bloccano le vaccinazioni
643 mila dosi AstraZeneca sotto sequestro, nonostante siano innocenti
Proseguono da giorni i vertici tra il governo, la struttura commissariale e la Protezione civile per accelerare la campagna vaccinale. Ma ora in Italia abbiamo fino a 643.200 dosi (il numero preciso non è quantificato) di AstraZeneca ferme nei frigoriferi, perché poste sotto sequestro dalla magistratura. Si tratta di due lotti “incriminati”. Il primo è il lotto ABV2856, bloccato lo scorso 11 marzo dall’Aifa a seguito della segnalazione di possibili eventi avversi gravi. Lo stesso giorno intervennero i Carabinieri del Nas, per eseguire un decreto della procura di Siracusa che ordinava di individuare le 249.600 dosi del lotto e sequestrare quelle non ancora somministrate. Il secondo è invece il lotto ABV5811. In questo caso senza intervento di Aifa.
Il 15 marzo i Nas, su ordine della procura di Biella, fecero lo stesso tipo di sequestro in tutto il paese per le dosi residue delle 393.600 appartenenti al lotto sospetto. Il sequestro arrivò all’indomani dell’allarme infondato sulla sicurezza del vaccino AstraZeneca che aveva portato la regione Piemonte a un gesto unilaterale di divieto di utilizzo, prima che lo facessero i governi di mezza Europa in attesa di un giudizio dell’Ema che però intanto suggeriva di non fermare le vaccinazioni. A cinque giorni dal pronunciamento del suo Comitato di valutazione dei rischi per la farmacovigilanza (Prac), che ha ribadito la sicurezza del vaccino AstraZeneca, l’Ema e poi anche l’Aifa hanno confermato che “non vi è evidenza di un problema relativo a lotti specifici o a particolari siti di produzione”. Ma le decisioni della scienza e quelle delle procure non viaggiano sugli stessi binari: il treno della giustizia è sempre in ritardo. Così, se è già stato un grave errore sequestrare i vaccini in via preventiva è ancora più assurdo bloccare le vaccinazioni dopo che le autorità scientifiche hanno scagionato quei lotti. Con una pandemia e centinaia di morti al giorno, forse è il caso che “i tempi della giustizia” si allineino a quelli della scienza, soprattutto su temi in cui i magistrati non hanno competenze tecniche superiori all’Ema.