(Ansa)

#Balance nel mucchio

Maurizio Crippa

La folle assoluzione della donna che denunciò un “porco” che non lo era: serviva da esempio

La diffamazione, a ben vedere, ci fu, ma la diffamante vada libera e assolta: l’ha fatto a fin di bene. Pensavamo di aver poco da imparare dalla Francia, in tema di giustizia giacobina, noi della patria dei Gratteri. Ma se il Comitato di salute pubblica lo hanno inventato loro, ci sarà un motivo per la primogenitura. E una sentenza culturalmente sconcertante della Corte d’appello di Parigi, che il Corriere ha pensato bene di festeggiare col titolo “Assolta ‘l’eroina’ del #MeToo francese” è lì a dimostrarlo.

 

Per chi non lo ricorda, il caso è questo. Nell’ottobre del 2017, nel pieno della campagna #MeToo e del caso Weinstein, la giornalista francese Sandra Muller pensò bene che fosse ora di lanciare l’hashtag #BalanceTonPorc, denuncia il tuo porco, invitando le donne molestate a uscire allo scoperto. Per dare il buon esempio, scrisse su Twitter che cinque anni prima Eric Brion, dirigente televisivo non di primissimo piano, l’aveva “molestata sessualmente e ripetutamente, in un quadro professionale” a parole e poi con sms insistenti. Brion finì all’inferno, la sua compagna ovviamente lo lasciò. Però querelò Muller per diffamazione. Ammise di aver usato, una sera, un paio di frasi di quelle cui Natalia Aspesi suggerisce di rispondere a ceffoni. Per il resto, l’unico sms inviato era di scuse, la mattina dopo, e Muller non aveva mai lavorato con lui, non c’era alcun “quadro professionale”.

 

Accertati i fatti, il tribunale gli diede ragione, condannando la donna a un risarcimento. Ma il Tribunal de Grande Instance aveva commesso un madornale errore: non aveva tenuto conto della lezione morale, per meglio dire della pubblica bastonatura che va impartita sempre e comunque, al porco. Anche se porco non è. Ci ha pensato l’Appello a rimediare. Ora, come sia finita la contesa tra i due è faccenda che possiamo anche trascurare. L’aspetto sconcertante della vicenda sono proprio le motivazioni della sentenza di assoluzione. Che non sapremmo nemmeno se definire giacobine, più che altro sono l’irruzione di un moralismo puritano e punitivo a senso unico, ma che rappresentano un salto di qualità nella giurisprudenza, che farà scuola. La corte ha infatti riconosciuto che le accuse mosse da Muller erano eccessive, eufemismo per diffamatorie, ma che si iscrivevano “in un dibattito di interesse generale sulla liberazione della voce delle donne”. Perciò la donna va assolta, perché “bisogna riconoscere che Sandra Muller ha agito in buona fede”.

 

Dunque non conta se il diffamato, accusato di essere un molestatore, lo sia stato. Nel 2017, secondo i giudici, l’importante era sollevare “un dibattito di interesse nazionale”. E se per sollevarlo bisognava esporre sulla piazza un porco che non lo era, che problema fa? Non si tratta nemmeno (più) della presunzione di innocenza, tema che ancora fa venire l’orticaria a tanti giustizialisti nostrani. Qui il tema diventa direttamente, e nelle parole di un tribunale, quello della rieducazione. Della giustizia come (minaccioso) pubblico esempio. Le immagini che vengono istintivamente alla memoria sono quelle dei professori fatti sfilare con le orecchie d’asino durante la Rivoluzione culturale cinese. Ma c’è l’orrore delle donne rasate a zero dopo la Guerra mondiale, per il solo sospetto di avere avuto contatti con i nazisti, ci sono tutte le gogne istruite in piazza per ogni devianza, meglio se sessuale, giù giù per i gorghi dei secoli bui.

 

La sentenza arzigogola un po’, sottolinea che il comportamento dell’uomo era stato in ogni caso “inappropriato”. E “anche se Eric Brion ha subìto il fatto di essere stato il primo uomo a essere denunciato con l’hashtag #BalanceTonPorc”, è una quisquilia minore. Muller ha commentato: “Sono sollevata, la mia buona fede è stata riconosciuta”. L’avvocato che ha assistito Brion la vede ovviamente in modo diverso, ritiene che così la morale sia entrata a gamba tesa in tribunale, e pone un problema non di poco conto: “Nel momento in cui sposti il ​​cursore dell’imputazione verso il basso, diminuisci automaticamente la forza della base di prove. Cioè, più grave è l’accusa, più seria deve essere la base fattuale”. “La conseguenza di tutto ciò è che abbiamo sempre più moralismo che entra nella legge, e questo non è logico. Oggi il tribunale dà un assegno in bianco a tutte le persone che vogliono denunciare qualsiasi cosa su internet. Fondamentalmente viene detto loro ‘fai come vuoi: non rischi più nulla’”.

 

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"