L'autocritica pelosa del prefatore Gratteri
La marcia indietro è arrivata, tardi e male, perché è stata bucata l’omertà di casta del circuito mediatico giudiziario. Ma è arrivata con il suono falso dell’opportunismo carrierista
La marcia indietro di Gratteri, ingranata con pelo e ipocrisia, dice molto sul discorso pubblico nazionale. E’ arrivata tardi e male, preparata sul Fatto da un suo sodale e coautore di una sfilza di libri inutili (ma l’editoria è un obbligo culturale per i pm coautori e prefatori?). E’ arrivata solo perché l’intemerata tribunizia e tribunalizia di chi aveva letto bene gli articoli di Luciano Capone e la sua documentata, impeccabile requisitoria sul Fogliuzzo, ha trascinato gente di diritto aureolata e coraggiosa a dirgliene quattro, a quei tre ineffabili spargitori di balle su un servizio di stato che richiederebbe dignità e onore, per i magistrati, e su una società che arranca sotto il giogo di una pandemia vera, non cospirativa, per un medico della destra più scollacciata. E’ arrivata perché l’omertà di casta del circuito mediatico-giudiziario è stata bucata nell’unico modo possibile, con uno schiaffo sonoro. Ma è arrivata con il suono falso dell’opportunismo carrierista.
Dice che sì, d’accordo, ha sbagliato a avallare un libro di cui aveva letto un riassuntino amichevolmente passatogli da un collega magistrato capace di una prosa a quattro mani, demenziale, con un medico Bacco. Ma lui, poverello, è stato ingenuo e generoso. Pensava che fosse un manifesto contro la ’ndrangheta, e invece era un minestrone di scemenze contro la verità e contro lo stato. E dalla prefazione si evince, ma su questo il Gratteri sorvola, che la sostanza di quelle scemenze il generosissimo la condivide. Invoca dunque la fine di una polemica alla quale attribuisce, insinuante e pochissimo ingenuo, scopi obliqui e l’intenzione di colpirlo nel suo carattere personale più coltivato e prezioso per la carriera: il prestigio indiscutibile di pm giustiziere, non un togato che fa il suo mestiere, magari con pregio, contro le cosche, ma un eroe da romanzo criminale della lotta alla mafia. Gratteri pensa di poterci gabbare tutti con una richiesta di immunità, perché si muove lungo una linea sperimentata di autocelebrazione. Se potesse, non si muoverebbe mai dalla Calabria dove rischia la vita, così afferma. Tranne che per un pelino e per la buona grazia di Napolitano non finì ministro della Giustizia qualche anno fa, passando sul ponte vasto e scivoloso della relazione diretta tra azione penale e politica; tranne per quella ipotesi di candidatura ai vertici della fatale e leggendaria procura di Milano, in relazione alla quale ora si tiene sul generico e sull’ambiguo, forse che sì forse che no.
Certo che le cose sono facilitate per i furbastri in un paese in cui omarini come Gad Lerner, subito dopo aver dedicato due righe di critica d’occasione al contatto con idee cospirazioniste tipiche degli antisemiti e argomentate con riferimenti al complotto per la degenerazione dell’umanità dei Soros e di altri nomi desunti dal campionario dell’odio antigiudaico, prepara la marcia indietro dell’eroe da romanzo facendosi l’autocritica in una letterina pusilla al suo giornale (la parola ebrei non c’era, ho sbagliato, mea maxima culpa). In Italia tutto è squadernato, chiaro in apparenza, c’è una grande libertà di tono e di opinione anche grazie a un social come Twitter, nessuno potrebbe mai tirare il sasso e nascondere la mano come fanno i carrieristi incalliti e i loro reggicoda nel mondo dorato dell’informazione omertosa, eppure bisogna zoleggiare e strepitare di rabbia perché sia ritirata una prefazioncina complice a un libro fuorilegge dal punto di vista del comune sentimento del pudore civile e politico.