I rischi della cancel culture, la “dottrina Mitterrand” e le tradizioni costituzionali
Sabino Cassese riflette sulla necessaria “linea d’ombra” oltre la quale ogni fatto deve essere sottratto alla dimensione soggettiva e storicizzato
La forza e i limiti della Memoria. Parola che in questo caso va scritta in maiuscolo, così come la parola Storia, con cui dialoga e compete. L’arresto di sette ex terroristi in Francia, non più protetti dalla cosiddetta “dottrina Mitterrand”, è un caso tipico su cui misurare questa forza e i suoi limiti, spiega al Foglio il professor Sabino Cassese, giurista e giudice emerito della Corte costituzionale. Come prima impressione più generale, ci dice Cassese, “si può anche pensare che questa vicenda corra un po’ il rischio di essere un ‘oppio dei popoli’, cioè un occuparsi di cose d’importanza oggi relativa, anziché di quelle urgenti: il Recovery Plan, o la riforma della scuola… Ma non è così”.
Invece, riflette il professor Cassese, “in un momento di passaggio come quello che, globalmente, stiamo vivendo il tema del rapporto tra la memoria e la storia è cruciale. Pensiamo ad esempio a quanto avviene negli Stati Uniti con la cosiddetta cancel culture: l’università in cui ha studiato la vicepresidente Kamala Harris, la Howard University, ha deciso di chiudere il dipartimento di studi classici, perché rimanderebbe a una cultura del passato ‘razzista’. Bisogna allora riflettere su quale sia il limite per la memoria: bisogna tornare fino a George Washington, che aveva degli schiavi, per ‘cancellarlo’? O ancora più indietro, quando si facevano i sacrifici umani? E’ evidente che si debba trovare una zona di limite – una ‘linea d’ombra’ per dirla con Conrad – oltre la quale la memoria cessa di essere tale e subentra la storia, che è la capacità di mettere in prospettiva, dunque di giudicare, ciò che è il ricordo personale o anche di una collettività. Pensiamo al ricordo del fascismo e della Resistenza. Questo credo possa valere, almeno in un quadro teorico, anche per la vicenda di cui stiamo parlando legata agli Anni di piombo”.
Storicizzare il terrorismo di 40, 50 anni fa potrebbe però imporre anche altre domande. Nel momento in cui stiamo discutendo, in Italia, dell’abolizione dell’ergastolo ostativo in base a una concezione costituzionale della pena intesa alla riabilitazione del colpevole, può essere lecito domandarsi anche se un reo, pur non avendo scontato la pena, sia nel frattempo cambiato. E’ un tema che Cassese ritiene utile prendere il considerazione, ma sul quale per competenza preferisce non dare un giudizio, anche perché esiste in parallelo il tema del rispetto per le vittime, che non è trascurabile. “Preferisco riflettere sul problema essenziale della memoria. Tutta la nostra vita, anche collettiva, si fonda sul suo necessario mantenimento: la memoria del nazifascismo, del 25 aprile, fondano il nostro stato. Ma la memoria ha anche componenti soggettive ed è soggetta anche a narrazioni diverse. Faccio un esempio semplice: io ho la memoria delle macerie urbane prodotte dalla guerra. Ma le persone più giovani, al massimo, ricordano le macerie di un terremoto. Sono sguardi sul passato soggettivamente diversi, che però incidono anche su quello che pensiamo, collettivamente, del futuro. E’ a questo che alludeva il titolo di un mio libro: ‘Una volta il futuro era migliore’. Ma poi deve esistere un punto a partire dal quale la memoria deve essere messa a distanza, storicizzata. Altrimenti si cade nel disastro che la cancel culture sta creando non solo negli Stati Uniti. Anche per questi fatti legati al terrorismo degli anni Settanta a un certo punto si porrà questa problematica, ma è molto difficile dire quando debba iniziare questa ‘zona grigia’ della storia, in cui non tutto è più bianco o nero”.
Deve accadere per il terrorismo quello che è accaduto nel passaggio tra memoria e storia per la Resistenza: “Qualche anno fa il libro di Claudio Pavone, ‘Una guerra civile’ provocò un acceso dibattito proprio a partire dal suo sottotitolo: ‘Saggio storico sulla moralità nella Resistenza’. Moralità, cioè un giudizio di valore. Questo intendo per passaggio dalla memoria alla storia, il momento in cui la forza della memoria incontra il suo limite”.
Secondo alcuni osservatori, questo cambio di marcia tra Italia e Francia sulla “dottrina Mitterrand” sarebbe anche causato da una più generale necessità, oggi più stringente, di armonizzare legislazioni e culture giuridiche diverse. “Questo è in parte è possibile, e mi sembra indicato anche dal fatto che la richiesta di rivedere quelle posizioni sia venuta recentemente proprio dalla Francia, da professori della Sorbona. Ma guarderei a un aspetto più profondo. Viviamo un momento di forte rinnovamento dei legami anche giuridici europei. Dobbiamo ricordare che nell’articolo 6 del Trattato sull’Unione europea, si legge, al comma 3: ‘I diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli stati membri, fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali’. Significa che bisogna chiedersi se fa parte della tradizione costituzionale comune il concetto della pena come rieducazione”. E bisognerebbe ricordarsi, conclude Cassese, di quello che ha scritto Goethe: “‘Non tutto ciò che è gabellato per storia è veramente accaduto e non tutto ciò che è accaduto è accaduto come ci viene narrato e ciò che è effettivamente accaduto come ci è narrato, non è che una parte dell’accaduto’”.
L'editoriale del direttore