L'ipocrisia della casta togata: “Vogliono delegittimarci”
L’ineffabile risposta (sempre la solita) del Csm alla storiaccia di dossier segreti, segretarie infide, responsabilità dirette e indirette di chi considera tutti colpevoli fino a prova contraria
Vogliono delegittimarci, dice il Csm. Ma questi sono proprio fuori di testa. Spero che il capo dello stato li convochi e faccia loro una solenne cazziata, sebbene tra lo scandalo dei cappuccini e i corazzieri di Cossiga i togati hanno storicamente dimostrato non solo di essere fuori di testa ma di avere la testa dura. Se ho capito bene, si sono messi a litigare di brutto tra magistrati giustizialisti per una storiaccia di dossier segreti, segretarie infide, responsabilità dirette e indirette di chi considera tutti colpevoli fino a prova contraria. Sono state violate norme basilari dell’etica pubblica nell’ambito di coloro che vincono un concorso e sono pagati per farla rispettare a suon di codici. Ormai ex pm in odore di corruzione e attivisti dell’avvocatura più infida spadroneggiano e mettono in discussione, come in un mandamento mafioso, prospettive di carriera e false reputazioni, ammorbando l’aria e devastando la credibilità di tanti bravi magistrati e giudici che pur fanno il loro lavoro senza pretese politico-giudiziarie o, peggio, moralistiche farlocche.
Ela risposta dell’organo di autogoverno, ineffabile, è che “vogliono delegittimarci”. Sempre la solita. Ricordo ancora il compianto Borrelli, una persona anche troppo per bene che voleva combattere un libero e segreto voto del Parlamento su Craxi, come raccontato benissimo nel libro di Facci, e per questo si inventava una inesistente delegittimazione dell’ordine giudiziario da parte dei deputati, chiedeva di innestare un grottesco conflitto di attribuzioni alla Consulta, e altre farneticazioni faziose. Volevano delegittimarli! Così abolirono la base della Costituzione del 1948, l’articolo 68, la separazione dei poteri e il diritto degli eletti del popolo a giudicare l’esistenza di uno spirito persecutorio ai danni dei loro colleghi, che fu usato male, ma la cui abolizione mise la Repubblica nelle mani dei funzionari di giustizia che non tollerano, rido, di “essere delegittimati”. Una casta, la sola vera e unica casta. Alla quale ora si aggiunge la follia tumultuosa del MeToo.
Ricordo ancora quando per mandato del popolo elettore che ci aveva spedito al governo, nel 1994, decretammo con Biondi che non si potevano più comminare pene detentive anticipate al fine di ottenere prove, procedura di tipo barbarico. Aizzarono il popolo giustizialista, imbracciarono l’arma mediatico-giudiziaria della tivvù, si presentarono in quattro o cinque, con le facce patite, al seguito di Di Pietro, e il pool disse senza vergognarsene che una volta caduta la custodia cautelare incostituzionale non potevano più lavorare, che si sentivano “delegittimati”, provocando una rivolta intracastale che convinse due stinchi di santo, Fini e Bossi, ho detto Fini e Bossi, a fargliela vedere loro, gli onesti, ai loro stessi ministri garantisti, via il decreto e tarallucci e vino con i magistrati. Senza peraltro grande costrutto, si vedrà poi al tramonto di certe carriere politiche.
“Vogliono delegittimarci” è come “ho fiducia nella giustizia”, frasi impronunciabili, di questo si tratta. Ipocrisie. Malmostose rivendicazioni di impunità o rese senza condizioni agli aguzzini. Il colpo di stato permanente (Mitterrand) dura da trent’anni, in questo paese. Ora è sotto gli occhi di tutti di che pasta è fatta la classe giudicatora, ai massimi livelli. Magari fossero massoni, come dice l’avvocato dello scandalo. Magari si limitassero alla grettezza della caccia alle nomine e ai privilegi, come dice il loro ex che si è fatto testimone di giustizia, pentito dopo la cacciata. In confronto la politica odora di rose.