Bugiardo & +bugiardo
Il caso Amara e la triste storia dei giustizialisti che si rincorrono nei talk-show accusandosi di mentire: Ardita contro Davigo contro Morra
Uno degli aspetti più gravi del caso Amara, forse non abbastanza evidenziato nella sua gravità, è la rivelazione di informazioni giudiziarie riservate a un esponente politico da parte di un magistrato membro del Consiglio superiore della magistratura. Si tratta di Piercamillo Davigo, leader della corrente giustizialista del Csm, e Nicola Morra, presidente della Commissione antimafia esponente del partito più giustizialista del Parlamento. Il primo accusa il secondo di dire delle bugie, eppure nonostante alcune sfumature le due versioni coincidono.
Morra racconta a Massimo Giletti di essere andato a colloquio con Davigo per “ricomporre un quadro che, per quanto riguarda le politiche giudiziarie, doveva eradicare il sistema correntizio”. In pratica Morra sa che Davigo ha rotto con il compagno di corrente e membro del Csm Sebastiano Ardita e cerca di ricucire il rapporto tra i due in un’ottica politica. A quel punto Davigo invita Morra a uscire dal suo studio e gli mostra nella tromba delle scale (“mi è sembrato anomalo”, dice Morra) “un faldone” di carte in cui “ho letto il nome del dr. Ardita”, dice Morra. A quel punto Davigo gli riferisce che “c’è un collaboratore che in una procura del nord sta rilasciando dichiarazioni sull’appartenenza di Sebastiano Ardita a una loggia massonica”.
Davigo risponde da Giovanni Floris che Morra dice bugie. “Non è vero, ricorda male e dice alcune cose fantasiose. Non ho mai avuto nessuna attività, come dice lui, di formazione della politica della giustizia del M5s”. Eppure, più che smentire, la versione di Davigo sembra confermare quella di Morra. “Avevo interrotto i rapporti con Ardita – dice Davigo – e Morra voleva che parlassimo insieme con Ardita. Non volevo e siccome insisteva l’ho preso in disparte e gli ho chiesto di uscire, non gli ho fatto vedere nessun verbale per la semplice ragione che il senatore Morra dice che non gli ho detto di che procura si trattasse. Si dà il caso che sui verbali ci sia scritto foglio per foglio quale è la procura che si sta occupando. Gli ho spiegato, oltre a tutte le ragioni che già ci sono per cui non voglio parlare con Ardita, che c’è anche una questione che può riguardare un’associazione segreta”.
Nonostante Davigo definisca false e “fantasiose” le dichiarazioni di Morra, il racconto coincide. Se non per i verbali, ma qui Davigo cavilla. Dice che la prova che non glieli ha mostrati sta nel fatto che Morra non conosce il nome della procura che sarebbe stato ben visibile sui fogli. Ma il motivo per cui Morra non potesse leggere il nome della procura è semplice: i verbali consegnati a Davigo dal pm Paolo Storari erano copie word e non atti timbrati dalla procura. Davigo gioca su questa ambiguità, ma il dato sostanziale – timbro o non timbro – è che fossero atti coperti da segreto, infatti come tali Davigo dice di averli considerati. Cavilli a parte, c’è una verità assodata: Davigo ha rivelato informazioni secretate a Morra. Sul motivo Davigo dice un’altra cosa non vera: sostiene di averne parlato con Morra perché “non era venuto come amico, era venuto a chiedermi alcuni dettagli tecnici e informazioni giuridiche”. Questa tesi è smentita sia da Morra sia dallo stesso Davigo: entrambi dicono che il colloquio non riguardava “dettagli tecnici” ma una questione politico-personale: il litigio Davigo-Ardita.
Proprio sull’uso personalistico dei verbali, Ardita ha attaccato Davigo da Corrado Formigli dicendo che “Davigo aveva tutti gli elementi per capire che era una bufala” ma ne ha fatto “un utilizzo informale, che riguarda una persona con cui c’è grave inimicizia e che siede con lui nel Csm. E’ un fatto di una gravità inaudita”. Anziché rincorrersi nei talk-show dandosi del bugiardo, perché Ardita, Morra e Davigo non si ritrovano tutti insieme per un confronto? Magari, essendo giustizialisti, perché non davanti a un giudice?
L'editoriale del direttore