I caos giudiziari su Ilva spiegati con la storia di Bruno Ferrante
L'ex prefetto di Milano rischia una condanna per la breve e intelligente gestione delle accaierie. Contro la quale esistono solo teoremi
Si è conclusa martedì l’ultima udienza del processo “Ilva Ambiente Svenduto” presso la corte d’assise di Taranto. Quarantasette imputati cui i pm hanno chiesto un totale di più di 400 anni di carcere per disastro ambientale e avvelenamento di sostanze alimentari. Un processo importante ancora oggi non solo per le persone coinvolte ma anche perché tra le richieste dei pm vi è la confisca del sito industriale, che rientra tra le clausole sospensive in presenza della quale non si può concludere la vendita di Ilva ai nuovi acquirenti Acciaierie d’Italia. Mille parti civili per richieste di risarcimento di oltre 30 miliardi, tra cui i 10 chiesti dal comune e i 300 milioni dalla regione Puglia che pure vede tra gli imputati il suo attuale assessore regionale all’agricoltura appena nominato da Michele Emiliano. Un maxiprocesso iniziato con l’indagine del 2012 che portò subito all’arresto preventivo a 87 anni di Emiliano Riva (morto poco dopo) e al sequestro, ancora in atto, di tutta l’area a caldo nonché di 8 miliardi di prodotti finiti.
Il capo del pool che guidava allora la procura di Taranto, dottore Franco Sebastio, dopo una infelice candidatura a sindaco nel 2015, il giorno dell’avvio delle requisitorie ha scritto un editoriale per i suoi ex colleghi invitandoli a completare il lavoro da lui avviato. Il suo successore, dottor Capristo, ha guidato la procura nel proseguo del processo fino allo scorso maggio quando è stato lui stesso arrestato. Ancora oggi mai è stato dimostrato nesso di causalità tra Ilva e morti da inquinamento, e in questo periodo pandemico tutti abbiamo imparato, soprattutto rispetto ai vaccini, quanto è importante distinguere la correlazione dalla causalità. E’ questo che hanno cercato di dimostrare gli avvocati durante il lungo dibattimento durante il quale decine di periti hanno smontato prove e testimonianze dell’accusa tra cui anche la famosa maxiperizia epidemiologica che ha dato origine a tutto. Dibattimento del quale gli stessi avvocati nelle relazioni hanno sottolineato che i pm non hanno tenuto conto e che difficilmente riuscirà a non condizionare anche nella sentenza.
Un esempio è quello che riguarda la posizione dell’ex prefetto di Milano Bruno Ferrante, per cui il pm ha chiesto 17 anni con l’accusa di aver operato in concorso con i Riva una massiva attività di sversamento nell'aria di sostanze nocive per la salute umana cagionando eventi di malattia e morte nella popolazione e l'avvelenamento di acque e di sostanze alimentari in relazione al bestiame e ai mitili. Ferrante fu nominato Presidente Ilva il 10 luglio 2012 dopo le dimissioni di Nicola Riva, per l’esigenza di avere un rappresentante che fosse interlocutore credibile delle istituzioni nonché garanzia di correttezza e lealtà. Ferrante era onorato uomo delle istituzioni, capo di gabinetto all’interno di Cossiga e Napolitano, vice capo della Polizia e prefetto di Milano, città in cui fu anche candidato sindaco del centrosinistra contro Letizia Moratti. Nominato dal Tribunale di Taranto custode giudiziario llva dal 28 agosto al 28 ottobre 2012. Meno di due mesi in carica, 17 anni di richiesta di condanna. Da agosto 2012, come entrò Ferrante, è stato da più parti attestato (compreso dai pm) che le emissioni sono diminuite, fu lui a ritirare tutti i ricorsi precedentemente presentati dai Riva, a firmare l’accettazione per conto dell’azienda dell’Aia 2012 (quella ancora oggi in vigore), e a dare mandato al progetto per la copertura dei parchi minerari che fino a quel momento era considerata impossibile. La sua unica colpa è stata aver provato a risanare l’acciaieria introducendo le famose bat (migliori tecnologie disponibili) senza interrompere la produzione. Ed è a questo che la procura si è sempre opposta. Finché il Parlamento ha stabilito per decreto la facoltà d’uso degli impianti sotto sequestro di un’azienda di interesse strategico nazionale. Che potrebbe terminare se la sentenza di primo grado dovesse confermare la richiesta di confisca fatta dai pm. Periti e avvocati hanno dimostrato che Riva rispettava le norme allora vigenti “ma come facciamo a dire a una mamma che ha perso il figlio che le emissioni erano a norma per quelle leggi?” A questa domanda rivolta dal pm, senza alcun nesso di causalità, sono chiamati a rispondere i giudici riuniti in camera in consiglio.