LE PROVE SECONDO FALCONE

Dialogo tra Marta Cartabia e Maria Falcone, 29 anni dopo

“Il Parlamento legifererà sull’ergastolo ostativo”

Falcone. Credo che questo sia importantissimo, perché i punti fondamentali su cui bisogna colpire la mafia sono la privazione della libertà e delle ricchezze. Il problema più grosso per loro è il carcere. La storia ci ricorda che Giovanni e Paolo sono stati uccisi principalmente per questo. La sentenza della Cassazione che confermava le condanne del maxiprocesso fu la condanna a morte per Giovanni e per Paolo. Il carcere duro è importante per combattere la mafia, perché toglie ai boss il dominio sul territorio e la possibilità di continuare a mandare ordini; e l’altro punto debole è la ricchezza. Colpire le mafie nella ricchezza significa dare il colpo finale. Certamente tutta la legislazione che riguarda l’espropriazione dei beni alla mafia è stata fondamentale in questi anni. Forse è andata meglio per i beni non produttivi, ad esempio la nostra Fondazione è una ex finanziaria confiscata alla mafia: questi locali da cui io parlo sono un bene confiscato alla mafia. L’utilizzo di questi beni per finalità culturali e sociali è una cosa bellissima e un segnale importante. Più difficile, invece, è continuare a far lavorare le imprese produttive, perché sappiamo che le imprese mafiose si avvalgono di determinate agevolazioni, diciamo così, che una finanza pulita non ha. Hanno collegamenti sul territorio, una manodopera non pagata nel rispetto delle norme. Tanto si deve fare in questo campo, perché chiudere un’impresa mafiosa significa dare una risposta negativa della società, a coloro che ripetevano: “La mafia dà lavoro ai bisognosi”. Questa è un’idea che bisogna sconfiggere completamente.

 


Cartabia. Sul fronte delle aziende sequestrate, posso assicurarle l’impegno del ministero. Lei ha ragione a osservare che la gestione degli immobili è stato un capitolo di maggior successo. Ma ai cittadini deve apparire chiaro che la vita nella legalità non è meno attraente di quella all’ombra della mafia. Al contrario! Mi è capitato fra le mani il passaggio di una celebre intervista del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, che diceva: “Gran parte delle protezioni mafiose, dei privilegi mafiosi caramente pagati dai cittadini non sono altro che i loro elementari diritti. Assicuriamoglieli, togliamo questo potere alla mafia, facciamo dei suoi dipendenti i nostri alleati”. Ecco, noi dobbiamo evitare che si creino questi vuoti nei diritti e nelle legittime aspettative dei cittadini. Penso che questo punto sia da sottolineare con forza: il cambiamento sul piano culturale, economico e sociale non è meno importante delle condanne che mandano in carcere i mafiosi. Ma, professoressa, so che su questo fronte da parte sua ci sono delle preoccupazioni sulle evoluzioni recenti della giurisprudenza costituzionale: ne avevamo già un po’ parlato…


Falcone. Sì, il problema dell’ergastolo ostativo è per me molto importante. Significa non concedere i benefici che la nostra legge dà ai detenuti comuni, i vari permessi premio per buona condotta e altro. Non si concedevano ai mafiosi, perché un mafioso è bravissimo a simulare un atteggiamento di buona condotta. Come diceva Tommaso Buscetta, il mafioso non esce mai dall’organizzazione se non con la morte o con il pentimento, chiamiamolo così. Che poi non è pentimento, perché viene fatto per avere in cambio determinati benefici. E’ così perché il mafioso che esce dal carcere, anche momentaneamente, ha la possibilità di ritornare a collegarsi con l’organizzazione e cominciare a delinquere. E quei casi, quei pochi casi di libertà che ci sono stati, hanno dimostrato proprio questa realtà. Quindi il carcere duro non è una cattiveria del nostro sistema nei confronti dei mafiosi, ma è una necessità essenziale per poter combattere la mafia. E’ chiaro che secondo Cesare Beccaria il carcere è un momento per arrivare alla riabilitazione, ma per un mafioso questo non dovrebbe avvenire senza una collaborazione. Diciamo ai mafiosi: “Collaborate, riconoscete che avete sbagliato e noi vi daremo i benefici”.

 


Cartabia. Su questo punto però è intervenuta la Corte costituzionale con due sentenze, una del 2019, la n. 253, e una più recente, la n. 97 del 2021, in cui la Corte ha chiesto al legislatore di modificare le norme che, nel caso di condannati per reati di mafia, consentono la liberazione condizionale solo a fronte della collaborazione con la giustizia. La Corte ritiene che la collaborazione con la giustizia non possa essere l’unico modo per provare il ravvedimento o il distanziamento dal clan. C’è un passaggio in questa pronuncia che mi sembra molto incisivo. Cito testualmente: “La collaborazione con la giustizia non necessariamente è sintomo di credibile ravvedimento, così come il suo contrario non può assurgere a insuperabile indice legale di mancato ravvedimento (…). Non è escluso che la dissociazione con l’ambiente mafioso possa esprimersi in modo diverso dalla collaborazione con la giustizia”. Mi pare che la Corte intenda ribadire l’importanza della collaborazione, ma avverte anche che la collaborazione non è sempre una prova affidabile: a volte, ci sono collaborazioni mendaci, mentre, altre volte, bisogna valutare se la mancata collaborazione non possa essere vinta con una prova contraria.


In questa seconda decisione della Corte costituzionale, c’è una differenza rispetto alla prima: la Corte non ha immediatamente annullato la legge in vigore e invece ha chiesto al Parlamento di intervenire entro un anno. Rinviando il compito di modificare la legge al Parlamento, mi pare che la Corte riconosca la specificità del regime da applicarsi ai condannati per mafia. Perciò richiede che per questi casi il Parlamento stabilisca regole specifiche per l’accesso alla liberazione condizionale, accompagnate eventualmente da specifiche prescrizioni che governino il periodo di libertà vigilata. Il Parlamento ha un anno di tempo per stabilire regole speciali. La sfida sarà proprio questa: stabilire un regime adeguato, che consenta la liberazione condizionale per i condannati di mafia, anche se non collaboranti, tenendo conto però delle particolari caratteristiche dei reati di associazione mafiosa, i particolari legami che potrebbero perdurare nel tempo o ricostituirsi con l’uscita dal carcere. Credo che qui veramente la responsabilità del Parlamento debba entrare in gioco. Sono state già preannunciate proposte di legge da alcune forze politiche. Seguiamo con attenzione il dibattito.


Tra l’altro, consideriamo anche un altro elemento. Ci furono preoccupazioni anche dopo la prima sentenza della Corte del 2019, che ammetteva ai permessi premio anche i detenuti condannati per reati ostativi. Tuttavia, dal momento della sentenza, sono state presentate solo sei richieste di ammissione al permesso premio, ma in nessun caso è stato accordato. Decisioni di questo tipo sono circondate da molte garanzie, occorrono i pareri delle direzioni distrettuali antimafia, dei giudici di sorveglianza, della procura nazionale antimafia, di tutte le autorità giudiziarie che hanno indagato o stanno ancora indagando. E tutto questo serve proprio a cercare di evitare il rischio che un’eventuale uscita dall’isolamento permetta di ricreare i legami con le organizzazioni criminali. Credo che questo debba essere un elemento da tenere ben presente quando il Parlamento elaborerà questa legislazione di attuazione della sentenza: occorrerà superare quel divieto di liberazione condizionale senza collaborazione, ma occorrerà anche circondarlo di garanzie, senza mai dimenticare, come dicevamo prima, la difficoltà di recidere quel legame fortissimo dei condannati per mafia con il loro contesto.

 


Falcone. La sentenza della Corte costituzionale è stata per me una sorpresa nonostante tutto positiva, perché aver rimandato al Parlamento la necessità di legiferare sull’ergastolo ostativo è fondamentale. Solo il Parlamento può e deve decidere se deve avere la priorità la tutela dell’interesse del mafioso o la tutela della sicurezza della società stessa. Ecco, questo è un problema che si devono porre i politici italiani e quindi io sono fiduciosa che quando c’è un interesse collettivo, deve avere la prevalenza sull’interesse soggettivo. Queste sono le nostre idee, poi vedremo cosa farà il Parlamento.
 

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