Csm, toc toc
Conta il merito. Per cambiare la giustizia non serve una rivoluzione, ma la normalità
Le riforme delle regole procedurali servono a poco, se non si premia chi lavora bene e non si blocca la carriera dei giudici-lumaca e dei pm dalle manette facili e che non reggono alla prova dei fatti
Al direttore – In questi giorni sembra esserci una sorta di congiunzione astrale: i miliardi del Pnrr condizionati alla riforma, un premier che, quando serve, dimostra di saper tirare diritto, ignorando i partiti, una ministra della Giustizia che ha letto Beccaria (a differenza di Bonafede), una debolezza senza precedenti della magistratura che, dal caso Palamara a quello Amara, sta perdendo credibilità e potere di veto, una raccolta firme referendaria che mette pressione a tutti.
Anche per questo, i movimenti politici e le associazioni (Azione, +Europa, Partito Repubblicano, Ali – Per Fermare il declino, Liberali) che hanno dato vita a Programma per l’Italia – l’iniziativa presieduta da Carlo Cottarelli per arrivare a un vero e proprio programma di governo dell’area libdem – hanno scelto di partire proprio dalla giustizia, con una proposta che ha l’ambizione di toccarne tutti i gangli e le patologie. Perché se è vero che la lentezza dei processi è un problema gravissimo, la convinzione dei numerosi esperti che hanno partecipato al lavoro è che il sistema giustizia italiano debba recuperare due valori essenziali: il principio di “parità delle armi” tra individuo e pubblica autorità, e l’obiettivo di assicurare un servizio efficiente agli utenti/cittadini. E allora la prima essenziale questione da risolvere è quella della separazione delle carriere tra giudici e pm. Anche avendo la massima fiducia nella buona fede dei giudici e pm, resta il fatto che gli imputati hanno costantemente la sensazione di trovarsi di fronte a due parenti. Magari onesti e indipendenti, ma pur sempre parenti. La commistione di carriere ha anche l’ulteriore gravissimo effetto, da più parti denunciato, di un’influenza prevalente della magistratura inquirente nelle elezioni del Csm e nelle nomine ai vertici degli uffici giudiziari. Una dinamica che può essere spezzata solo separando le carriere e creando due Csm distinti, entrambi indipendenti e autonomi, dove i magistrati esprimano però la metà e non i due terzi dei componenti.
L’indipendenza della magistratura è, infatti, un principio essenziale, da tutelare e valorizzare, così come, per le carriere dei giudici, dovrebbe contare il merito. Purtroppo, come emerge in modo chiaro dal libro di Palamara, le cose non stanno così. Per far carriera a contare sono soprattutto l’appartenenza correntizia e le connessioni politiche. Per scardinare queste dinamiche bisogna cambiare il metodo di elezione dei togati del Csm.
Su questo punto Programma per l’Italia fa una proposta precisa, che Enrico Costa ha anche portato in parlamento: il cosiddetto voto singolo trasferibile, che permette di votare candidati anche di liste diverse, rendendo impossibile il lavoro delle correnti. Nel 2016, lo stesso Csm ne elogiò le qualità, proprio in chiave anti correntizia, ma la proposta finì rapidamente in un cassetto. Per recidere i legami con la politica, poi, la proposta di Programma per l’Italia è di ridurre ai minimi termini l’istituto del fuori ruolo, che sta alla base del sottobosco politico-giudiziario.
Da ultimo, ma non certo per importanza, il merito. Oggi le procedure di valutazione di professionalità prescindono quasi totalmente dai risultati dei magistrati in termini di produttività e qualità del lavoro. Non a caso, la valutazione è positiva per il 98 per cento dei magistrati. Un quadro idilliaco… quasi la perfezione. Eppure siamo il paese che solo nel 2020 ha pagato 46 milioni di euro di risarcimenti per ingiusta detenzione (870 milioni dal 1992 a oggi), in cui 120.000 cittadini vengono assolti ogni anno in primo grado e in cui i processi, sia civili che penali, sono così lenti da farci finire in coda in tutte le classifiche. Sarebbe ora di tornare ad applicare criteri meritocratici. Per questo Programma per l’Italia propone di rendere obbligatoria l’applicazione nelle valutazioni di parametri oggettivi quali velocità, quantità di provvedimenti emessi, e soprattutto qualità, da valutare guardando che fine fanno i provvedimenti quando vengono impugnati. Non mancano nella proposta anche incentivi premiali per gli uffici che si dimostrano celeri e professionali. Ed è proprio questa la riforma più importante. Perché le riforme delle regole procedurali servono a poco, se non si premia chi lavora bene e non si blocca la carriera dei giudici-lumaca e dei pm dalle manette facili e che non reggono alla prova dei fatti.
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