L'intervento
Pd: sulla giustizia vai con i Radicali
No, i Dem non possono farsi superare dalla Lega sul garantismo. E sui quesiti referendari non si può restare indifferenti. Non si può lasciare questo tema alla destra populista che esibiva il cappio in Parlamento: serve una svolta
La giustizia è in una situazione di evidente crisi. Su questo, ormai, c’è un’opinione da più parti consolidata. Occorrerebbe una riforma forte e giusta, in grado di superare le difficoltà che la rendono incerta e inefficace. Oggi prevale un’incertezza per le vittime del crimine e per gli imputati; per il prestigio della magistratura che ha lasciato negli ultimi decenni tanti eroici suoi rappresentanti sul selciato delle nostre strade per aver compiuto il proprio dovere; per chi vuole intraprendere attività economiche, produttive o di servizio per la comunità. Prevale la confusione e una discrezionalità malata. Essa è un impedimento alla bonifica dei territori dominati dalla criminalità organizzata e da tutte le mafie; alla certezza della esecuzione equa delle pene; al contenimento del dolore di un’attesa sospesa da parte di chi è indagato per reati, anche gravi, ma di minore rilievo, in quanto non concernenti la lesione della vita, del corpo o della integrità psichica degli altri.
Troppe vite sono state spezzate. In varie direzioni. Per chi subisce l’offesa della delinquenza o per chi si trova in una situazione non risolta da un giudizio definitivo, umano e giusto. Non c’è una vera consapevolezza del carattere “terribile” del potere giudiziario. Come ricordava Montesquieu. Della sua dimensione relativa, difficile da verificare, umorale ed esposta alle pressioni esterne o alle convinzioni personali di chi ha la responsabilità di decidere. Non c’è sufficiente cognizione di quanto la conclusione di un accertamento della colpa, sia continuamente esposta all’errore; per sua stessa natura, in quanto, in ogni caso, è il frutto essa stessa dell’imperfezione degli esseri umani da quale scaturisce.
Occorre comprendere quanto l’alta funzione della magistratura, che nella maggior parte dei casi è dedita ad una disciplina interiore e all’esercizio di un’alta responsabilità, sia simile a quella di un medico che ha nelle proprie mani il destino di un altro essere umano. Queste considerazioni sono il nucleo fondamentale di una sinistra innovativa, democratica e libertaria. Quella sinistra alla quale in questi mesi sto dedicando tutto me stesso, per renderla forte nella società italiana e nel Partito democratico. Essa, infatti, si deve realizzare nell’obiettivo fondamentale di affermare una giustizia sociale, che oggi è quanto mai messa in discussione da una divaricazione sempre più grande tra i ricchi e i poveri. E accanto a questa tensione sociale, essa non può essere che la fonte principale di un anelito di libertà umana. Che coincide esattamente con il sacrale rispetto delle persone e di tutte le vite umane.
Questo è stato il grande “inciampo” del Novecento. Soprattutto, ma non solo, della sinistra del Novecento: quel sacrificare alle ragioni di un’ideologia generale sovraordinata, l’irrepetibilità e unicità di ogni essere vivente. Che non potrà mai essere fino in fondo compreso e racchiuso nella dimensione della politica e delle istituzioni. In quanto in esso rimane sempre uno spazio non ponderabile che, a prescindere da ogni elemento razionale, dovrebbe spingere ognuno a mantenere aperto lo spiraglio della pietà verso l’altro. In troppe occasioni il selvaggio chiasso attorno all’indagine che hanno riguardato tanti rappresentanti politici e di governo, hanno portato a linciaggi personali che poi si sono risolti nel nulla, in assoluzioni che non hanno per nulla ripagato le sofferenze di chi è stato messo alla gogna. E’ toccato a tutti, da una parte e dall’altra dello schieramento politico. Da Bassolino che ha ottenuto 19 assoluzioni dopo un travaglio di anni a Virginia Raggi. Dal governatore della Calabria Oliverio al braccio destro di Pier Luigi Bersani, Filippo Penati.
E tale chiasso in certi casi ha spinto, quando si è accertata la colpa, a condanne ritenute “esemplari”. Non discuto le sentenze e ognuno ha il dovere di accettarle. Eppure non si può sfuggire da una valutazione libera sulla congruità di certe condanne. Anche qui riferite ad una parte o dall’altra dell’arco politico. Da quella così pesante al mio amico fraterno Nichi Vendola, un vero galantuomo, a quella di un mio avversario politico, che appunto ho considerato sempre un politico e non un criminale come Gianni Alemanno.
Ecco perché in piena libertà, con una scelta personale che non impegna altro che me, non posso rimanere indifferente rispetto ai quesiti referendari promossi sul tema della giustizia dal Partito radicale. Se saranno l’occasione di un dibattito aperto, franco e responsabile e se potranno avere l’effetto di spingere in avanti una legislazione che si è dimostrata lenta negli anni passati, essi vanno considerati con grande attenzione e coraggio. Non credo affatto sia giusto che questo tema sia un po’ pelosamente impugnato da quella destra populista, come la Lega, che amava esibire il cappio nelle aule parlamentari. Nel merito: il quesito del referendum circa la separazione delle carriere è condivisibile; quello sulla custodia cautelare anche; il quarto quesito che riguarda la legge Severino mi pare giusta la sua abrogazione. Così come quella che riguarda la raccolta di firme dei magistrati per le elezioni domestiche; sul sesto quesito circa l’indicazione dei membri laici nei consigli giudiziali, esiste già una proposta del Pd alla commissione Lattanzi che va nella direzione giusta. Infine il primo quesito sulla responsabilità civile dei giudici solleva un problema che esiste. Tuttavia la soluzione proposta appare dirompente, in quanto non rende sereno l’esercizio della funzione giurisdizionale del giudice, sapendo egli di poter essere chiamato a rispondere direttamente di un eventuale errore.
Si apra, dunque, un confronto sereno ma determinato. Che aiuti anche la politica a riformare se stessa. A svilupparsi al di fuori di speculazioni e di scorciatoie giudiziarie per eliminare l’avversario. Le alternative devono essere limpide, programmatiche, ideali e civili. Anche per la sinistra serve uscire sempre di più da quella guerra guerreggiata che mette al centro la manovra, la furbizia, l’organizzazione del potere di partito o di correnti, per navigare, invece, nel mare aperto della società, che oggi ha sempre meno punti di riferimento credibili e che vive un conflitto strozzato che non si riesce a esprimere in forma politica. E che chiede una rappresentanza credibile, impegnata e anche onesta negli strumenti che agisce. Quella di una sinistra moderna e democratica.