Sicurezza e lavoro
Serve una cultura del rischio e della prevenzione. Riflessioni su Stresa
Il circolo pena-controlli-pena non basta. Solo riconoscendo che il mancato rispetto di interessi e diritti altrui fa parte della natura umana, si potranno cercare strumenti idonei a prevenire drammi come quello della funivia
La tragedia di Stresa sollecita una riflessione sui temi della sicurezza sul lavoro e della compatibilità fra la logica del profitto propria del capitalismo e la salvaguardia di interessi che stanno al di là delle aziende. Sul primo punto, l’opinione prevalente è che tale obiettivo debba essere perseguito mediante l’adozione di un sistema repressivo e di controllo più severo e incisivo di quello attuale. Per evitare futuri drammi, perciò, occorrerebbe nell’immediato punire severamente i colpevoli della strage e per il futuro intensificare i controlli sulle aziende onde individuare l’adozione di condotte pericolose, sottoponendo nuovamente a pene severe chi vìola la normativa: un circolo senza fine di pena-controlli-pena.
Tale conclusione poi sarebbe imposta dalla riscontrata inconciliabilità (di cui non solo la vicenda di Stresa ma anche il ponte Morandi sarebbe la dimostrazione) fra la tensione dell’imprenditore verso la massimizzazione dei ricavi e i costi necessari per la tutela dell’altrui incolumità; da qui l’accentuazione dell’importanza dei controlli per il rispetto della normativa antinfortunistica giacché, se non si può far conto su una capacità di autoregolamentazione del capitalismo, è necessario individuare gli imprenditori che si manifestano come disponibili a porre in pericolo la collettività per arrestarne (o arrestarli) la deriva criminale. Si tratta di una visione in qualche modo tranquillizzante, giacché segna una cesura netta fra chi ha commesso il crimine e tutti gli altri (comportamenti come il disattivare il freno di sicurezza sono di tale gravità che, diversamente dagli attuali indagati, nessuno di noi avrebbe messo in essere questa scellerata condotta), ma al contempo non molto efficace in un’ottica preventiva.
Che i responsabili dell’accaduto vadano puniti è indiscusso. Lo impongono il rispetto verso le vittime, le esigenze di sicurezza, effettività e certezza della pena, nonché – per quanto possa sembrare paradossale – la dignità degli stessi colpevoli, che mediante l’espiazione della sanzione si vedono riconosciuti come ancora appartenenti alla comunità, in quanto tali meritevoli di sanzione ma altresì di essere, proprio mediante la pena, rieducati e reimmessi nel circuito relazionale. Al contempo, però, occorre riconoscere che le scelte poste in essere dai gestori della funivia non possono essere motivate facendo solo riferimento all’indole criminale degli stessi: come sostenuto qualche giorno fa da Alberto Mingardi sul Foglio del 28 maggio, occorre una buona dose di ingenuità – se non una sopravvalutazione della nostra tenuta morale – per affermare che situazioni come quelle in cui si sono trovati gli indagati non abbiano una forte spinta di condizionamento cui avremmo saputo senz’altro resistere, e quindi non avremmo sottovalutato i rischi conseguenti alla disattivazione del freno di emergenza, non ci saremmo fatti condizionare dalla necessità di far ripartire l’uso della funivia dopo il lockdown...
Solo riconoscendo – con una presa d’atto forse dolorosa per l’immagine che ciascuno coltiva di se stesso – che il mancato rispetto degli interessi e diritti altrui è qualcosa di connaturato nella natura umana si potrà andare efficacemente alla ricerca di strumenti idonei a prevenire drammi come quello della funivia. Tale risultato non può essere perseguito semplicemente punendo i responsabili: sanzioni severe sono già previste ma spesso non fungono da deterrente perché l’imprenditore che pone in essere condotte pericolose agisce convinto (o semplicemente sperando) che non si verifichi nulla di grave e quindi non considera il peso della possibile punizione. Inoltre, verifiche e ispezioni sono già previste e una loro intensificazione difficilmente potrà raggiungere la diffusività così capillare che si ritiene necessaria.
Piuttosto, posto che l’adozione di comportamenti irresponsabili, la sottovalutazione del rischio nel perseguimento del profitto, il disinteresse verso la sorte altrui sono atteggiamenti non completamente arginabili, occorre da un lato far crescere nelle imprese la cultura del risk management (più l’imprenditore ha consapevolezza della probabilità del verificarsi di un evento disastroso e delle conseguenze economiche negative che ne derivano per l’azienda e più cerca di abbassare la possibilità che ciò si verifichi) e dall’altro la politica della sicurezza deve essere intesa a introdurre nelle imprese sistemi precauzionali che attenuino le conseguenze delle condotte irragionevoli, minimizzando gli effetti dannosi che ne possono derivare. Nel caso di Stresa, forse, sarebbe bastato predisporre l’impianto in modo da impedirgli di funzionare in caso di disattivazione del freno di emergenza.