Carceri, la svolta arriverà grazie alla riforma Cartabia?
L’ennesimo suicidio riaccende i riflettori sulla questione delle condizioni di vita dentro gli istituti di pena italiani. Dove la maggior parte dei detenuti si trovano per aver commesso reati lievi. Le novità sostanziali introdotte dalla riforma della giustizia
Ogni tanto il silenzio sulle condizioni di vita all’interno delle carceri italiane viene interrotto dal tonfo di un corpo che cade in terra per non rialzarsi più. L’ultimo caso risale a una settimana fa, quando un 25enne è stato ritrovato senza vita nel carcere di Poggioreale, a Napoli. Si trovava nel padiglione Salerno per lesioni, ma aveva fatto tappa a Firenze e Roma in reparti dedicati alla reclusione delle persone tossicodipendenti. Al momento, si tratta del terzo detenuto suicida in Campania dall’inizio del 2021, ma il problema assume contorni ancora più gravi se si osservano le statistiche nell’arco di dodici mesi elaborate da Antigone, associazione che si occupa dei diritti e delle garanzie nel sistema penale: nel 2020, su scala nazionale, trentaquattro, tra detenuti e personale di polizia, hanno lasciato i luoghi di detenzione nel peggiore dei modi.
Decisioni così drammatiche non sono frutto di una libera scelta. Maturano soprattutto a causa degli effetti delle condizioni croniche di sovraffollamento vissute dagli istituti di pena: spazi angusti per un numero eccessivo di abitanti. “Tenga presente che la struttura penitenziaria italiana ha una capienza massima di circa 40mila posti - spiega al Foglio Mauro Palma, garante nazionale dei diritti dei detenuti -, mentre la popolazione attuale ammonta a circa 52mila persone. Un’altra questione, meno evidente, riguarda i reati per cui si finisce in carcere: nella maggior parte dei casi questa gente si trova a scontare pene inferiori a un anno”. Non basta: carenza di medici, psicologi, educatori e agenti rendono complicati i controlli di sicurezza, oltre a mettere a rischio il percorso stesso di riabilitazione e rientro in società. In un contesto simile diventa impossibile reinserire. “In fondo, tutti nutrono un’unica grande paura: quella di tornare in libertà e ritrovarsi al punto di partenza, nelle stesse condizioni che li hanno portati a delinquere”. L’amministrazione della giustizia, finora, non sembra averli aiutati granché.
Novità sostanziali arrivano dal testo della riforma della giustizia proposta dal ministro Marta Cartabia, ora al vaglio delle commissioni parlamentari di Camera e Senato. Il riassetto complessivo del sistema non trascura l’ordinamento penitenziario e viaggia su un doppio binario: costruire più strutture e diminuire il numero di reati per cui si ricorre al carcere. Così, se da un lato è previsto uno stanziamento di fondi pari a circa 425 milioni, dall’altro viene ampliata la possibilità di utilizzo di misure alternative, a sanzioni e pene pecuniarie e alla non punibilità per illeciti più lievi. Più il ripristino della prescrizione. “La direzione è quella giusta” acconsente Riccardo Polidoro, componente dell’Osservatorio carcere dell’Unione camere penali “perché si ritorna al rispetto dei principi costituzionali e delle direttive europee. E al carcere come extrema ratio, contrariamente al parere del precedente guardasigilli”. Sorge un’unico dubbio: una riforma così attenta alle garanzie del reo non rischia di affondare le radici nel terreno deteriorato di un’opinione pubblica con la bava alla bocca? “Servirà il contributo dell’informazione, oggi, in troppi casi interessata solo a sbattere il mostro in prima pagina”. E continua ricordando che “gli errori giudiziari e le ingiuste detenzioni in Italia sono circa mille all’anno” per le quali “si spendono in media circa trenta milioni di euro all’anno in risarcimenti”. Il riferimento è anche alla sentenza con cui, nel 2013, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia a pagare cento milioni di euro a sette ex detenuti per “trattamenti inumani e degradanti” subiti nelle carceri di Busto Arsizio e Piacenza.
Pure la politica sembra favorevole ai cambiamenti in fase d'introduzione. Con riserva, se si parla con Riccardo Magi, deputato di Più Europa: “Trovo incompleto un dibattito sulla riforma della giustizia che non si soffermi sulle ragioni che portano una persona in carcere”. Ossia? “Il testo unico sugli stupefacenti: un terzo dei detenuti si trova dietro le sbarre in violazione di quelle norme. Andrebbe riformato” osserva. I dati contenuti nell’ultimo report di Antigone confermano quanto afferma l’ex segretario dei Radicali italiani: ammontano a circa 19mila persone. Nonostante ciò, appare complicato che un governo tecnico e una maggioranza di larghe intese mettano mano a un tema così controverso. “Certo, ma questo non impedisce al Parlamento di cominciare a discuterne”.