Perché lo status quo della giustizia è il vero ostacolo per le riforme
Dal titolo V alla burocrazia, dai tempi processuali agli interessi di categoria: invertire la tendenza si può, ma c'è bisogno di creare consenso attorno al Recovery plan
Negli ultimi venticinque anni, l’Italia ha avuto, in base agli indicatori economici, una crescita modesta in termini assoluti e relativi, sia rispetto agli anni precedenti, sia nei confronti degli altri principali paesi europei. Nel medesimo periodo, nel nostro paese il contesto giuridico e amministrativo si è rivelato sempre meno favorevole sia alle libertà economiche, sia al godimento dei diritti sociali. E’ sufficiente ricordare il peso dei ritardi della giustizia sui cittadini e sulle imprese: sette anni e tre mesi – mediamente – per una causa civile, rispetto ai tre anni e quattro mesi necessari in Francia e in Spagna. La situazione della giustizia tributaria non è migliore: i due gradi di giudizio di merito si esauriscono in meno di tre anni, ma ne occorrono – sempre in media – altri quattro per la Corte di Cassazione, sulla quale grava un arretrato di più di 55.000 ricorsi giacenti, un vero fardello.
Sul versante dei diritti sociali, la pandemia ha rivelato diversità inaccettabili dal punto di vista dell’eguaglianza. Il divario si manifesta anche in altri ambiti, come l’erogazione degli assegni volti a rendere effettivo il diritto allo studio. Per porre rimedio a queste antiche tare e alle diseguaglianze che si sono accresciute, il governo Draghi ha ripreso alcune iniziative avviate dai governi precedenti e ha elaborato molte altre misure, collocandole tutte nella cornice del Recovery fund. Esso mette a disposizione dell’Italia un’ingente dotazione finanziaria. L’importanza del piano predisposto per accedere a quelle risorse – il Pnrr – va ben al di là delle singole misure che ne fanno parte. Ci ricorda che l’aver fatto di meno, anche assai meno, di quanto era possibile negli anni precedenti non significa affatto che non si possa invertire la tendenza. Il destino è nelle nostre mani ed è necessario agire, non solo con l’occhio al benessere dei nostri nipoti. Tuttavia, nulla garantisce che questa preziosa, forse irripetibile, opportunità verrà colta.
Non è facile invertire la tendenza. Vi è d’impedimento l’intrico di competenze creato dal titolo V della Costituzione e prima ancora dalle complicazioni organizzative che hanno reso inefficaci non poche semplificazioni procedurali. Vi è d’impedimento l’invocazione delle disposizioni costituzionali per impedire riforme moderate, come è successo nella discussione sui concorsi per il reclutamento dei giudici tributari, quando si è detto – irragionevolmente – che quei concorsi possono essere migliorati, ma solo fino a un certo punto. Vi è d’impedimento la forza degli interessi particolari e settoriali: per esempio, Marta Cartabia, nel sottolineare l’importanza fondamentale della riforma della giustizia, ha chiesto alle organizzazioni portatrici dei vari interessi – avvocati e magistrati – di agire in una maniera “costruttiva, non sterile”, senza arroccarsi nella difesa dello status quo.
I termini del problema cui i riformatori sono di norma esposti sono stati illustrati, con il consueto acume da Machiavelli. Nel “Principe”, il grande fiorentino ha segnalato che chiunque si accinga a introdurre “nuovi ordini” va incontro alla strenua opposizione di quanti traggono vantaggio dalla situazione esistente, senza avere il sostegno di quanti – invece – beneficerebbero delle riforme, perché questi ultimi non ne colgono fino in fondo l’utilità. Per superare questo paradosso, per realizzare le riforme di cui l’Italia ha bisogno da un quarto di secolo (una generazione…), è necessario far comprendere ai cittadini e a tutti i loro rappresentanti che il governo è riuscito a convincere i partner europei perché le sue proposte sono degne di fiducia. A fronte di quelle proposte non vale agitare temi irrilevanti ai fini del miglioramento delle istituzioni amministrative e giurisdizionali. Ma bisogna fare di più per dimostrare che determinate resistenze sono immotivate, stridono con la razionalità più elementare. Se la qualità delle proposte è essenziale, la loro percezione non è di secondaria importanza, può essere determinante per il successo delle riforme.
L'editoriale del direttore