La pericolosa logica forcaiola di Gratteri sulla prescrizione
Secondo il procuratore di Catanzaro la riforma Cartabia comporterà l'improcedibilità del 50 per cento dei processi. Si tratta di un stima totalmente slegata dalla realtà
Sui possibili effetti della riforma della giustizia penale elaborata dalla Guardasigilli Marta Cartabia ormai è una gara a chi la spara più grossa. Pochi giorni fa, l’Associazione nazionale magistrati ha affermato che la nuova disciplina della prescrizione proposta da Cartabia, che consiste nell’estinzione del processo per improcedibilità se si supera la durata di due anni in appello (tre per i reati più gravi) e uno in Cassazione (o 18 mesi), metterebbe a rischio circa 150 mila processi che non rispetterebbero la tempistica. Il sindacato delle toghe non ha fornito alcuna analisi statistica a sostegno di questa ipotesi (e difficilmente potrebbe, visto la riforma della prescrizione si accompagnerà a una riforma che intende velocizzare i tempi dei processi). Insomma, c’è da fidarsi e basta, alla faccia del dibattito pubblico informato e consapevole.
Il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri, ascoltato martedì davanti alla Commissione Giustizia della Camera, è stato persino più drastico: la riforma Cartabia, ha affermato, comporterà l’improcedibilità del 50 per cento dei processi. Se si considera che in media ogni anno in Italia vengono definiti circa un milione di procedimenti, ne consegue che per Gratteri la riforma manderebbe in fumo addirittura 500 mila processi. Si tratta di una cifra folle (oltre tre volte superiore a quella ipotizzata dall’Anm), slegata da qualsiasi contatto con la realtà.
A sorprendere, però, più che il ricorso a numeri fantasiosi, è il ribaltamento della logica compiuto da tanti magistrati e dai megafoni del giustizialismo: visto che i processi penali in Italia sono lunghissimi, allora eliminiamo la prescrizione, così da garantire la cosiddetta “certezza della pena”. Pazienza se i processi continueranno a durare otto, dieci o quindici anni, e se molti di essi si concluderanno con l’assoluzione degli imputati, rimasti nel frattempo imbrigliati nelle maglie della giustizia per tutto quel tempo. E’ la stessa logica paradossale alla base della riforma Bonafede, voluta dal governo grillo-leghista, che ha abolito la prescrizione dopo una sentenza di primo grado, senza andare prima a riformare il sistema giudiziario per garantire tempi certi ai processi.
E’ la stessa logica forcaiola che spinge il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, Federico Cafiero De Raho, a sostenere con Gratteri che la riforma Cartabia “mina la sicurezza della nostra democrazia”. Come se il principio di durata ragionevole del processo non costituisca anch’esso un pilastro fondamentale della democrazia (basterebbe rileggere l’articolo 111 della nostra Costituzione). Del resto, sempre secondo Gratteri, il problema è che la riforma Cartabia comporterà un “aumento smisurato di appelli e ricorsi in Cassazione”, perché “se prima qualcuno non presentava impugnazione con questa riforma a tutti, nessuno escluso, conviene presentare appello e poi ricorso in Cassazione non fosse altro per dare più lavoro, ingolfare di più la macchina della giustizia e giungere alla improcedibilità”. Una visione singolare del diritto di difesa, che peraltro non tiene conto dei dati (quelli veri): circa il 60 per cento delle prescrizioni matura durante la fase delle indagini preliminari (dati ministeriali) e in dibattimento gli avvocati hanno un peso quasi nullo sulle cause di rinvio delle udienze (ricerca Eurispes del 2019).
Più che un ribaltamento della logica, sembra insomma di assistere a uno scontro tra due logiche diverse: quella della forca e quella del diritto. Per fortuna a ricordare l’esistenza della logica del diritto ci ha pensato proprio la Guardasigilli Cartabia, intervenendo martedì a una tavola rotonda a Firenze: “Ogni processo che si estingue è una sconfitta dello Stato. Ma ogni processo che dura oltre la ragionevole durata è un danno tanto per le vittime – in attesa di risposte – quanto per gli imputati, lasciati per anni in un limbo che il più delle volte condiziona l’intera esistenza. Teniamo sempre in mente entrambe le prospettive e lavoriamo tutti agli obiettivi che ci siamo dati con senso di comune e costruttiva responsabilità”.