Intervista all'ex viceministro
“L'approccio morbido di Cartabia ha influito negativamente”. Parla Costa (Azione)
"Credo che la ministra abbia commesso l’errore di un affidamento eccessivo verso i 5 stelle", ci dice il deputato sulla riforma della giustizia. E avverte: "Ai togati più poteri dei politici"
“La riforma Cartabia segna un’inversione di rotta, ma non basta per riformare la giustizia”. Parla così al Foglio il deputato di Azione, Enrico Costa, già viceministro della Giustizia. “Ho atteso l’esito del lavoro parlamentare, adesso con Carlo Calenda avvieremo una riflessione per firmare i referendum di Lega e Radicali”, spiega Costa che alla Camera ha assistito all’affossamento di due ordini del giorno sulla custodia cautelare e la responsabilità civile dei magistrati. “Se dal 2010 a oggi, su un totale di 563 procedimenti nei confronti delle toghe, ci sono state soltanto sei condanne, qualcosa non funziona. Il fatto che il governo abbia respinto l’odg di FdI è un segnale negativo. Io stesso ho ritirato il mio sull’abuso della carcerazione preventiva perché avrei spaccato la maggioranza senza incassare alcun risultato”.
Azione sosterrà l’iniziativa referendaria di Matteo Salvini e Maurizio Turco? “Penso che le riforme debba farle il Parlamento, per questo ho atteso l’esito dell’iter alla Camera. Adesso, con Calenda rifletteremo sull’opportunità di sostenere i referendum perché questo Parlamento, da solo, non è in grado di intervenire in modo incisivo”. Veniamo alla riforma Cartabia: è soddisfatto del risultato? Alfonso Bonafede lo è. “Il testo ha impresso un’inversione di rotta. La legge ‘Spazzacorrotti’ esprimeva sfiducia nei confronti del cittadino eliminando una serie di garanzie. Il ddl Cartabia va nella direzione opposta: ripristino delle garanzie in uno spirito finalizzato al rispetto dei princìpi costituzionali a partire dalla ragionevole durata dei procedimenti”.
In appello, 19 distretti su 26 fanno registrare tempi inferiori ai due anni. Per accelerare nei sette più lenti basta una legge? “Un problema organizzativo non si risolve con il codice. Tuttavia grazie alla riforma Cartabia si superano alcuni guasti dello ‘Spazzacorrotti’, già segnalati dalla Corte costituzionale. La legge Bonafede teneva appeso il cittadino a un processo eterno, adesso invece si ristabilisce il principio di un processo con un inizio e una fine”. Il pm chiederà il rinvio a giudizio solo in presenza di elementi che consentano una ragionevole previsione di condanna. “È un’innovazione significativa che permetterà di valutare l’operato dei pm e che dovrebbe avere un impatto sulle valutazioni di professionalità. Non è possibile che nel 98 per cento dei casi i giudizi siano sempre e soltanto positivi: significa penalizzare i meritevoli e premiare i magistrati lumaca. Il problema è che quelli che ragionano à la Bonafede considerano la prescrizione un espediente per consentire le tecniche dilatorie delle difese, per loro lo stesso ricorso in appello sarebbe un tentativo ostruzionistico, l’unico verdetto rilevante sarebbe quello cristallizzato nelle indagini preliminari, il dibattimento non conta. Contano le conferenze stampa delle procure. Sono soddisfatto di aver ottenuto l’approvazione di un emendamento per il diritto all’oblio di assolti e prosciolti: un innocente non può essere marchiato a vita”.
L’odg presentato alla Camera dal vicecapogruppo del Pd Piero De Luca, per limitare l’esposizione mediatica dei pm, sulle prime è stato respinto dal governo che poi ci ha ripensato. “È una questione che determina un effettivo sbilanciamento tra accusa e difesa. Destano preoccupazione anche i video confezionati dalle forze di polizia per condire le inchieste in corso. Il governo dovrà agire con più determinazione su questi punti. Credo che la ministra abbia commesso l’errore di un affidamento eccessivo verso i 5 stelle: anziché presentare un proprio ddl si è preferito intervenire con emendamenti su quello del predecessore ma l’approccio morbido ha condizionato negativamente il risultato finale”.
Per accelerare i processi sarebbe auspicabile affidare l’organizzazione del lavoro a figure esterne, come il “court manager” di stampo statunitense? “Sarebbe un’ottima idea ma in Italia si scontrerebbe con l’ostilità corporativa dei magistrati. Nel nostro paese c’è il monopolio delle toghe. Lei pensi al ministero di Via Arenula: la quasi totalità dei capi dipartimento sono magistrati. I 200 fuori ruolo sono tutelati dalla stessa corporazione”. Perché la politica non interviene? “Come dimostra la parabola di Silvio Berlusconi, e poi pure di Renzi e Salvini, molte inchieste coinvolgono figure che non avevano avuto problemi con la giustizia prima di arrivare a ricoprire ruoli di primo piano. Cartabia e il governo hanno subìto un attacco senza precedenti dai magistrati per aver osato toccare alcuni nodi irrisolti: che cosa accadrebbe, domando, se un ministro criticasse l’impianto accusatorio di un’inchiesta? Loro possono fare quello che vogliono, la politica non può”.