La loggia Ungheria è una deliziosa commedia della coda di paglia

Maurizio Crippa

La grottesca storia dei verbali che prima erano inattendibili, e ora invece no. Perché tutti avevano un motivo imbarazzante per non pubblicarli

Pubblichiamo a partire da oggi alcuni stralci – selezionati per rilevanza dei ruoli pubblici – degli interrogatori resi davanti ai pm della procura di Milano, Laura Pedio e Paolo Storari, da Piero Amara”. E il lettore dice: accipicchia. O meglio lo direbbe, non fosse che guarda la testata, il Fatto quotidiano, e soprattutto la data, 17 settembre, e il titolone, “Loggia Ungheria: tutti i verbali segreti”. E anziché sentirsi al cospetto dell’alta cronaca giudiziaria gli pare, e a ragione, di essere finito in una commedia dei telefoni bianchi: quelle appunto dette “commedie ungheresi”. 

Perché i famosi verbali d’Ungheria che avrebbero dovuto, secondo Marcella Contrafatto, ex segretaria di Piercamillo Davigo, cambiare il corso degli eventi, erano arrivati al Fatto e a Repubblica, testate che hanno costruito una loro tradizione sulla sfacciataggine di pubblicare qualsiasi brogliaccio di procura, molto tempo prima: tra l’ottobre 2019 e il marzo 2020. Ma rimasero chiusi nel cassetto. I famosi verbali senza timbro di Amara, roba del dicembre 2019, diventarono scoop solo il 27 aprile 2021 quando il fratello minore del Fatto, il Domani, ne diede notizia, per la parte almeno che vedeva (vedrebbe) coinvolto l’allora avvocato privato Giuseppe Conte. Motivazione del segreto giornalistico applicato ai succosi verbali: non erano attendibili. E invece adesso, tutto d’un tratto, lo sono. Forse a causa della caratura criminale del personaggio, che infatti il giornale di Travaglio presenta come si trattasse di un pentito di mafia: “Ex legale esterno dell’Eni, già condannato per corruzione e ora indagato a Perugia per violazione della legge Anselmi sulle associazioni segrete”. L’attendibilità e l’attualità fuori sincrono, si direbbe.

Il Fatto ci tiene ad anteporre le sue spiegazioni e a chiarire le motivazioni per cui, un anno e mezzo fa, non si poteva pubblicare. La scusa più bella è ovviamente quella che i verbali erano “usciti illegalmente dalla procura”. Non male, per il giornale che ha pubblicato qualsiasi intercettazione di B. o di qualsiasi famigliare di R. Scrivono anche che non volevano rendersi “strumenti di un danno”. Eh già, mai fatti danni, loro, pubblicando propalazioni poi rivelatesi infondate. Ma soprattutto, a rendere poco credibili le scuse, c’è l’evidenza, inutilmente tenuta nascosta, che l’utilizzatore finale di quelle carte era nientemeno che uno stimato collaboratore del giornale di Travaglio e Barbacetto: il dottore Davigo. Ma il momento è adesso, come canterebbe Baglioni. Così i verbali che per Rep. erano “materia di un dossieraggio violento”, racconti che stavano “in piedi come un sacco vuoto”; i verbali che per il Fatto erano fotocopie magari “costruite ad arte”, diventano d’un tratto potabili. Il lettore dirà: bene, dunque sono diventati rispettosi delle regole e garantisti. Invece no, è solo un’altra scena della commedia all’ungherese. E il divertimento è provare a formulare qualche ipotesi su tutto quel rimpallare di file di Word, quell’etichettare come “un cocktail di falso, verosimile, vero”, per oltre un anno, quelle stesse dichiarazioni che d’un tratto sono degne di stampa. 


Chissà. Forse il Fatto era stato per una volta prudente perché in cima all’elenco della loggia Ungheria c’era il nome del caro leader del popolo Giuseppe Conte, ai tempi della collaborazione col famoso Studio Alpa. Imbarazzante. Ma ormai adesso, visto che la Verità, giornale concorrente in materia manettara, ha iniziato a pubblicare, tanto vale non perdere l’occasione. E nemmeno a Repubblica, ammiraglia e regina delle campagne dei post-it contro le leggi bavaglio sulla stampa, non pubblicavano. Forse erano imbarazzati di ritrovare, nella stessa loggia, l’arcinemico Berlusconi e l’ex padre padrone buono Carlo De Benedetti. Eppure, “A loggia col nemico” sarebbe stato un bel titolo. E, sempre forse, il nome di Cdb associato al Cav. e addirittura al carcerato Verdini è il motivo di vergogna per cui il Domani, ieri, non aveva una riga e ricicciava, invece, una storia da passato remoto: quella dei giudici del caso Ruby che non riuscendo a interrogare il Cavaliere lo vorrebbero portare ai matti. Ma sull’Ingegnere editore, tutto tace. 


Insomma, come nella “Congiura degli innocenti” del vecchio Hitchcock, ognuno aveva un motivo valido per far sparire il cadavere, o per meglio dire per occultare il brogliaccio rapito. E adesso magicamente la fuffa dell’avvocato Amara, credibile solo per il pm Paolo Storari, che per mesi ci aveva perso il sonno, mentre il suo capo Francesco Greco dormiva fra due guanciali, è diventata attendibile e appetibile. Davvero sembra di essere in una commedia degli equivoci, in una farsa brillante, come le famose “commedie ungheresi” coi telefoni bianchi. Dove, da parte di tutti, in realtà c’è un solo vero e fondamentale motivo di insabbiamento: non dover confessare che il vero protagonista, il vero loggionista, non è né Amara né qualcuno dei comprimari di un elenco di nomi buttati lì a casaccio. Il vero protagonista di questa storia è il Dottor Sottile, che con l’intento di vendicarsi di qualche nemico interno alla magistratura, o di vincere la sua personale partita al Csm, aveva, come Leporello, affidato la diffusione di quei fogliacci senza padre alla fedele assistente Contrafatto: “Madamina, il catalogo è questo”.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"