il caso
L'ambasciatore Giffoni assolto. Chi pagherà per quella gogna?
L'ex primo ambasciatore d'Italia in Kosovo venne licenziato dopo essere stato accusato di associazione a delinquere e favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. Sette anni dopo cadono tutte le accuse. "Odissee come la mia in Italia non finiscono mai"
“Sssiiiii sssssiiii sssssiiiii. Tribunale penale di Roma, sez. VIII, aula bunker di Rebibbia. Assolto dai reati di cui al capo 1 (associazione a delinquere, sic!) perché il fatto non sussiste... Assolto dai reati di cui al capo 2 (favoreggiamento immigrazione clandestina) perché il fatto non costituisce reato. E ora, dopo aver cacciato un bell'urlo liberatorio, sto piangendo come una fontana...”. Così, alle ore 15.25 del 27 settembre 2021 ci ha scritto via WhatsApp Michael Giffoni. Già capo della task-force per i Balcani dell’Alto rappresentante per la Politica estera Ue Javier Solana; già direttore per il Nord Africa alla Farnesina; già dal 2008 al 2013 primo ambasciatore d’Italia in Kosovo; ma nel 2014 sospeso dal servizio. Nel 2015 era stato sul Foglio Adriano Sofri a testimoniare come Giffoni in contesti drammatici si era guadagnato “per coraggio, competenza e onestà, il riconoscimento e la riconoscenza di quanti, da giornalisti o da cooperanti civili o militari in missione, frequentarono i Balcani”. E a spiegare che la sua colpa era stata “di aver dato fiducia a un impiegato dell’ambasciata, e di venirne tradito”, con il rilascio di alcuni visti irregolari, tra cui quelli a tre jihadisti. “Ringrazio veramente tutti al Foglio, per avere creduto in me e per avermi sempre sostenuto in questa battaglia. Che poi, come tutte le battaglie che sta facendo il Foglio sulla giustizia, stanno dando risultati. Certo, dopo molto tempo”.
Sono passati sette anni. “E sono stati sette anni di sofferenze. Non è la fine, lo so bene. Odissee come la mia in Italia non finiscono mai. Però è un nuovo inizio per me. Poi è chiaro, sì, leggeremmo le motivazioni e faremo i passi necessari per la riabilitazione e la reintegrazione. Ma la mia gioia è immensa perché finalmente ho una sentenza di diritto penale che dice che quei fatti che mi sono stati contestati, e che mi hanno causato un provvedimento di destituzione di portata così grave, non sono mai accaduti. E quelli che sono accaduti non sono reato. Mi sento come se avessi almeno trent’anni e quaranta chili in meno”. Segue a ruota l’assoluzione di Mori e De Donno… “Non voglio mettermi sul loro stesso livello, la mia è una vicenda più piccola. Però è una vicenda indicativa del periodo incredibile che sono stati quegli anni. Tutto è nato nel 2014, in un momento in cui accadeva qualcosa di strano. Tantissimi colleghi diplomatici me lo avevano detto: sì, sappiamo benissimo che non hai fatto niente, però sai, il clima del momento… La mia per me non era una professione, ma una missione. Ero stato nella ex Jugoslavia per 10 anni pieni di orrori e di crimini contro l’umanità, come a Srebrenica. Mi sono trovato a dover combattere una battaglia incredibile per la mia stessa vita. Come ha scritto Sofri già sette anni fa, per me non è stata una destituzione dal mio lavoro e dalla mia professione, è stata la destituzione dalla vita stessa e dalla mia stessa anima, per un qualcosa che ora è riconosciuto come del tutto inesistente dal punto di vista legale e giuridico”.
Si sta sbloccando qualcosa nella giustizia italiana? “Non so. Certo sono stati anni lunghissimi, incredibili. Quel che lascia perplessi è che invece il procedimento amministrativo con cui mi hanno sospeso è stato rapidissimo. Una destituzione ex articolo 84 della legge numero 3 del 57, quella che regola il procedimento disciplinare per alti funzionari, diplomatici e militari, è qualcosa che equivale in sostanza ad alto tradimento. Meno male che non eravamo in guerra, se no avrebbero dovuto fucilarmi alla schiena. Per poi riconoscere che non c’era nulla!”.
L'editoriale del direttore