l'intervista
“La Trattativa è l'emblema dell'espansione del potere giudiziario sul politico”, dice Zecchino
"Anche Craxi e Fanfani volevano trattare con le BR per salvare Moro, ma non volevano certo favorire il terrorismo. Perché ci sia reato occorre che la trattativa sia finalizzata a indebolire lo stato: la magistratura ha voluto criminalizzare ciò che può essere tutt’al più criticate dal punto di vista politico”. Intervista al giurista ex ministro dell'Università
“Quello tra politica e magistratura è un conflitto immanente, che però da noi si manifesta in forma eclatante con l’occupazione da parte della giurisdizione di spazi che non sono suoi propri. La sentenza sulla cosiddetta ‘Trattativa stato-mafia’ ne è il caso più emblematico”. Ortensio Zecchino, ex ministro dell’Università e presidente del centro di genetica molecolare Biogem di Ariano Irpino, è uno storico del diritto. Ha da poco pubblicato “Il perenne conflitto tra i ‘signori’ del diritto”, un saggio sulla lotta perpetua per il controllo del diritto, e quindi del potere politico, perché “chi controlla il diritto controlla la società”. Ma Zecchino è stato anche un importante esponente politico prima della sinistra Dc, poi del Ppi, amico di Giulio Andreotti e di diversi protagonisti del processo sulla Trattativa. Conosce quindi fatti e protagonisti.
Cosa ci racconta questo lunga vicenda finita con l’assoluzione di tutti i principali imputati? “Che la magistratura ha progressivamente occupato spazi non suoi, che sono propri della politica, come la zona della discrezionalità delle decisioni. Ha voluto criminalizzare manifestazioni che possono essere tutt’al più criticate dal punto di vista politico”. Così è come se lei dicesse che la politica ha il pieno diritto di scendere a patti con la mafia. “Attenzione, la politica non ha carta bianca, trova confini invalicabili nel codice penale. E tutto ciò che non è di competenza penale rientra nella discrezionalità politica. Solo che questo confine viene ormai continuamente valicato dalla magistratura. Perché ci sia reato occorre che la trattativa sia finalizzata a indebolire lo stato e coartarne la volontà, con un dolo specifico. Insomma, occorre l’intenzione di favorire la mafia. Magari è possibile, con il senno di poi, che qualcuno abbia potuto commettere degli errori, ma la finalità era quella di contenere la mafia non di favorirla”.
Trattare non è un reato. “Certo che no. Pensiamo solo al rapimento di Aldo Moro: Craxi e Fanfani volevano trattare con le Brigate Rosse. Naturalmente tutti i giudizi sono legittimi, su chi era a favore e chi era contro, su cosa era giusto e cosa sbagliato, ma poteva mai esserci in Fanfani e Craxi l’intenzione di fiancheggiare o favorire il terrorismo? Ora come allora la volontà era quella di limitare i danni. Il resto sono opinioni”.
Nella descrizione del conflitto tra i signori del diritto nel suo libro parte da Hammurabi e poi passa per Federico II e Kelsen, ma nell’espansione del potere giudiziario di oggi c’è un elemento proprio di questa epoca che sono i media. Nel caso della Trattativa abbiamo assistito a un processo parallelo, fatto di libri e interviste dei pm, testimoni escussi nei talk-show... “E ora i cittadini sono disorientati dall’assoluzione. Adesso si scopre che quelli che erano pericolosi servitori infedeli dello stato sono persone per bene. Com’è possibile? Il circo mediatico giudiziario è il frutto avvelenato di una convergenza tra protagonismo giudiziario e vocazione dei media, che ha avuto come massima espressione Tangentopoli. All’epoca era una complicità organizzata, ora è una confluenza: i pm offrono materiale e i media sparano notizie. Così per anni sono stati riempiti dibattiti e talk show, uno spazio enorme, con la leggenda della trattativa”.
Ciò che non si considera è proprio il fattore tempo. Molti imputati sono ultra ottantenni, la cui assoluzione dipendeva soprattutto dalla loro capacità di sopravvivere al processo. “Era quello che diceva continuamente Andreotti, dopo che aveva avuto una condanna per omicidio volontario, un macigno capace di schiacciare le menti più forti: ‘Spero di vivere’”.