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Vaccini anti gogna

Perché la prossima Trattativa è già alle porte

Gian Domenico Caiazza

C'è chi esulta per un lungo incubo concluso. Ma senza un riequilibrio dei poteri dello stato, le indagini continueranno a riguardare un fantomatico "Sistema" (la Politica), anziché i singoli imputati

Quella sulla c.d. “Trattativa Stato-Mafia” non è certo una vicenda processuale come altre, dove accapigliarsi tra innocentisti e colpevolisti, consolarsi o dannarsi con la giustizia che fa il suo corso eccetera eccetera. Quel processo è l’esempio più eclatante di cosa la Giustizia penale abbia preteso di diventare in questo Paese, ed ancora – temo – pretenderà di essere. Da molti lustri il potere giudiziario ha intrapreso un percorso di esondazione dai propri limiti costituzionali, per acquisire un improprio controllo e condizionamento degli altri due poteri dello Stato, legislativo ed esecutivo. Non cadiamo nello stesso vizio che giustamente addebitiamo al circolo mediatico-giudiziario che da quasi trent’anni governa il nostro paese: quella progressiva esondazione non è il frutto di una originaria strategia di qualche grande vecchio.

 

Sono inerzie della storia, dinamiche di potere che si manifestano nel loro divenire, si apprezzano, si coltivano, e poi si difendono con le unghie e con i denti. La corruzione politica era una realtà, pervasiva e diffusa, nella politica e nelle istituzioni, quando partì la inchiesta “Mani Pulite”, non l’ha certo inventata la procura di Milano. Quello che invece apparve presto chiaro fu l’enorme potere che sarebbe derivato alle procure della Repubblica dalla costruzione mediatico-giudiziaria di una chiave di lettura criminale della Politica in quanto tale (anzi meglio, della politica al governo del Paese in quegli anni). Le indagini non riguardano più Tizio o Caio, ma un “Sistema”. Non sono più indagate ed imputate le persone, ma quella Politica, quei partiti, cioè un “sistema” in sé criminale. Questa brutale semplificazione consegna la Politica al controllo assoluto del potere giudiziario, innanzitutto inquirente. Un controllo, dunque, non più solo giudiziario ma etico, che decide le sorti di partiti, di governi, di maggioranze parlamentari. I buoni e i cattivi, i legittimati a governare e quelli no, decisi da burocrati qualificati dal superamento di un concorso pubblico, che il sistema (questo sì!) protegge con la più totale garanzia di irresponsabilità.

La Politica accetta, supina e terrorizzata, questa definitiva ipoteca del controllo giudiziario; depone i presìdi costituzionali della immunità parlamentare e della amnistia; dota il potere giudiziario di ogni possibile supporto normativo, fino alle fumisterie dei “traffici di influenze”, e gli affida il governo reale del ministero di Giustizia, “chiamando” ad amministrarlo plotoni di magistrati “fuori ruolo” (mai visti magistrati “più in ruolo” dei “fuori ruolo”!). Il dilagare della criminalità mafiosa verso le istituzioni e le leve economiche e finanziarie del Paese offre un formidabile terreno di rafforzamento e radicamento di questo potere di controllo e di interdizione alla Magistratura italiana. Non ci sono politici ed amministratori collusi con le Mafie, è la Politica in quanto tale ad esserlo. Se vogliamo sconfiggere la mafia, dobbiamo rafforzare il controllo della Politica. In Calabria, in Sicilia, e mano mano altrove, la politica è presunta mafiosa. E la Politica continua a fornire munizioni micidiali a chi la sta riducendo in cenere: norme speciali a man bassa.

Il processo della Trattativa è la rappresentazione parossistica di questa idea di potere, di questa pretesa tracotante di un potere davvero senza limiti. Una politica minacciata dalla mafia stragista deve, letteralmente “deve”, diventare complice di chi la minaccia. E’ una trama troppo ghiotta. Non importa più nemmeno chiedersi perché mai questo sarebbe accaduto, e nell’interesse di chi. Uomini delle istituzioni che catturano grandi capi mafia latitanti, utilizzando gli strumenti normativi che consentono loro di aprire esattamente a quel fine canali comunicativi e confidenziali con la criminalità, diventano correi dei mafiosi che arrestano. Si blatera di trattativa senza che un reato di trattativa sia mai esistito nel nostro codice penale. Si maciullano carriere, storie politiche, personali e professionali, sull’altare di quello che non è un impazzimento, ma una coerente e sofisticata difesa di un potere talmente immenso, talmente sconosciuto in ogni altra moderna democrazia, da non poter più essere rinunciato.

Attorno ad esso, alimentandolo, si sono costruite autentiche fortune editoriali e mediatiche alle quali è difficile pensare che si sia disposti a rinunziare. Gli alambicchi disperati sulla formula assolutoria adottata dalla Corte di Appello, che andiamo leggendo esterrefatti in questi giorni, la dicono lunga su quello che ci aspetta. La Trattativa esiste (“il fatto non costituisce reato”), ma è reato solo per la Mafia. Una insensata assurdità, ma cinicamente calibrata e vagamente minacciosa rispetto alla motivazione che la Corte di Appello si appresta a scrivere. Leggo di esultanze per un lungo incubo concluso. Mi piacerebbe esultare con voi, ma temo ci si stia illudendo. Se la politica non rialza la testa, non pretende la restituzione dei suoi spazi e delle sue prerogative, non invoca il riequilibrio tra poteri dello stato, la prossima Trattativa è già alle viste.
 

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