il foglio del weekend
Angeli & mostri: il populismo giudiziario è un pericolo per il diritto alla difesa
Troppo spesso s'identifica l'avvocato difensore con il reato compiuto dalla persona che difende. Colpa del cortocircuito mediatico-giudiziario, aiutato nel tempo anche da certa politica
Nell’epoca della gogna, del populismo penale, dello “sbattiamo il delinquente in galera e buttiamo via la chiave”, c’è chi si ostina a ricordarci che viviamo in uno stato di diritto, e che, anzi, è proprio questo a differenziare la civiltà occidentale da tutte le altre. Ce lo ricordano innanzitutto due giovani avvocati francesi, Olivia Ronen e Martin Vettes, rispettivamente di 31 e 32 anni, che hanno deciso di assumere la difesa di Salah Abdeslam al “processo del secolo” apertosi pochi giorni fa a Parigi sugli attentati jihadisti che il 13 novembre 2015 causarono 130 morti. Venti le persone sul banco degli imputati, accusate a vario titolo di aver diretto, organizzato o partecipato agli attacchi al Bataclan, allo Stade de France e nei locali del centro di Parigi.
Abdeslam, 32 anni, di origine franco-marocchina, è l’unico del commando stragista a essere rimasto in vita. “Il mostro del Bataclan”, per l’opinione pubblica francese. All’apertura del processo lo scorso 8 settembre, Abdeslam ha fatto capire di non riconoscere la legittimità del processo e, con essa, la legittimità della giustizia degli uomini su quella divina: “Ci tengo a testimoniare che non c’è altro dio all’infuori di Allah e che Maometto è il suo messaggero”. Secca la replica del presidente della corte, Jean-Louis Périès: “Questo lo vedremo dopo”. Un modo per ribadire che è della giustizia degli uomini che la corte si occupa, e che questa giustizia, per quanto ciò possa apparire incomprensibile ai jiadisti, si basa sul rispetto di alcuni principi fondamentali, come quello del giusto processo: “Non siamo in un tribunale ecclesiastico, ma in un tribunale democratico. Iniziamo un processo definito fuori dal normale, ma dobbiamo rispettare la norma e quindi la legge, a cominciare dal diritto alla difesa”.
A difendere Abdeslam saranno i due giovani avvocati penalisti, quasi coetanei dell’attentatore. “Non difendiamo una causa, ma gli individui”, ha affermato Olivia Ronen. “Faremo in modo che questo processo eccezionale non diventi un processo di eccezione”, le ha fatto eco il collega Martin Vettes. Saranno questi due “avvocati del diavolo” a consentire il rispetto di quel diritto alla difesa sancito dall’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, affinché la condanna nei confronti di Abdeslam giunga solo al termine di un giusto processo.
Nonostante il ruolo essenziale per la sopravvivenza dell’assetto democratico, la funzione difensiva è sempre più spesso oggetto di attacchi da parte di chi vede nell’avvocato un semplice ostacolo alla condanna dell’imputato, se non addirittura un fiancheggiatore del crimine. Un’ondata forcaiola che non risparmia nemmeno l’Italia.
“Sui social network ricevo continui insulti e minacce di morte. Alcune persone hanno anche chiamato in studio per dirmi che mi avrebbero ammazzato”, racconta ad esempio al Foglio l’avvocato Massimiliano Pica, difensore dei fratelli Bianchi, accusati, insieme ad altri due ragazzi, dell’omicidio di Willy Monteiro Duarte, avvenuto a Colleferro un anno fa. “L’opinione pubblica fatica a distinguere la persona accusata di aver commesso un reato da chi la difende – aggiunge Pica – Per aver accettato di assistere i fratelli Bianchi sono vittima di costanti minacce. Me ne hanno dette di tutti i colori, e me ne dicono ancora oggi. Frasi irripetibili. Secondo loro anche io sono un assassino e dovrei fare la stessa fine di chi difendo”.
“Persino un mio amico di infanzia mi ha chiesto: ‘Ma come fai a difenderli?’. Gli ho risposto che un avvocato non può decidere chi difendere in base al reato di cui sono accusati. La Costituzione all’articolo 24 afferma che tutti hanno diritto a una difesa. E’ un principio fondamentale. Ma questo non significa mica che l’avvocato debba essere identificato con il suo assistito o addirittura con i reati oggetto del procedimento penale. Non è che se un avvocato difende uno spacciatore allora anche lui è uno spacciatore”.
In tanti però fanno questo errore, anche a causa del circo mediatico-giudiziario, che alimenta l’opera di “mostrificazione” degli imputati, invocando condanne rapide ed esemplari. “Alcuni giornali raccontano correttamente ciò che accade durante le udienze, altri invece sembrano interessati soltanto ad andare contro gli imputati – dichiara l’avvocato Pica – Questo sta accadendo anche nel caso del processo sull’omicidio di Willy. Di recente, ad esempio, i giornali hanno dato grande risalto alle parole di un testimone che ha raccontato di aver visto gli imputati saltare sul corpo di Willy. Eppure nessuna perizia dimostra che il ragazzo abbia riportato lesioni prodotte da quattro persone saltategli addosso. Sembra che tutti siano interessati soltanto ad arrivare a una condanna degli imputati”. E tanto per avere l’ennesima conferma della gogna mediatico-giudiziaria, basti pensare che proprio dopo la nostra conversazione con l’avvocato Pica i principali quotidiani italiani hanno pubblicato per giorni paginate contenenti stralci di dialoghi privati tenuti dai fratelli Bianchi in carcere con i propri familiari, dal contenuto del tutto penalmente irrilevante.
In terra siciliana il particolare titolo di “avvocato del diavolo” viene attribuito in modo unanime all’avvocata Rosalba Di Gregorio, storica legale di numerosi boss di Cosa Nostra, tra cui Bernardo Provenzano, Michele Greco e Giovanni Bontate. L’esperienza più impegnativa dell’inizio della sua professione fu il maxiprocesso di Palermo, istruito da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, durante il quale, assieme all’avvocato Franco Marasà (suo compagno di vita), difese una decina di imputati, tra cui Vittorio Mangano, il cosiddetto “stalliere di Arcore”. “Nel corso degli anni ho ricevuto innumerevoli insulti per aver svolto la mia professione – racconta Di Gregorio al Foglio – Alcuni giornalisti hanno persino usato il mio nome per attaccare Fiammetta Borsellino, colpevole di dialogare con i difensori dei mafiosi”.
“L’avvocato non difende il reato, e non difende neanche la persona in sé sotto processo, che peraltro in quel momento è innocente, perché fino a prova contraria la Costituzione dice questo – aggiunge l’avvocata siciliana – L’avvocato partecipa a quella rappresentazione teatrale che è il processo penale. Da una parte dell’aula c’è un soggetto, il giudice, incaricato di emettere la sentenza. Dalla parte opposta ci sono, a sinistra, la parte di accusa e, a destra, la parte di difesa, posti sullo stesso piano. Il giudice deve giudicare su ciò che le parti rappresentano scenicamente durante il processo. Per essere equilibrata, quindi, la sentenza deve basarsi su un’accusa e su una difesa equilibrate quanto a bravura e a mezzi di operatività. Se il legale viene messo in condizione di minorata difesa, è chiaro che la sentenza sarà sbilanciata e non aderente alla verità processuale”.
Secondo Di Gregorio, “un’altra convinzione stupida che circola molto nell’opinione pubblica è quella secondo cui il cliente racconti i fatti suoi all’avvocato, e che quindi questo detenga chissà quali segreti. Immaginare che un mafioso racconti i fatti suoi all’avvocato fa abbastanza ridere. Ho avuto sempre clienti che, anche di fronte all’evidenza, al massimo mi dicevano: ‘Avvocato, io sugnu innocente comu nu Signure’. E io rispondevo sempre: ‘Va bene, e io sono la Madonna’. Proprio pochi giorni fa su Facebook ho condiviso una frase che dice: ‘Ama il tuo avvocato perché lui, dopo tua madre, è l’unico capace di difenderti senza crederti’”.
Per l’avvocata Di Gregorio, la diffusa difficoltà a comprendere il significato del diritto di difesa e il ruolo dell’avvocato è stata “alimentata negli ultimi anni anche dai governanti, di qualsiasi colore politico, che hanno concentrato la loro azione sull’inasprimento delle sanzioni penali, delle misure di prevenzione ecc.”. Un altro fattore determinante “è stato l’uso indiscriminato dei collaboratori di giustizia, con questi pentiti che si svegliano dopo decenni e vengono a raccontare, ad esempio, di aver partecipato alle stragi mafiose, pur essendo smentiti dai fatti. Nell’opinione pubblica si è creata l’idea che i pentiti hanno sempre ragione e che quindi tutte le persone da loro evocate sono colpevoli. Poiché la funzione degli avvocati nel processo è quella di smontare le rivelazioni dei pentiti, anche noi diventiamo oggetto di attacchi”. Eppure i pentiti non hanno sempre ragione. Lo sanno bene i sette imputati condannati ingiustamente, e poi assolti (alcuni di questi grazie all’assistenza dell’avvocata Di Gregorio), per la strage di Via D’Amelio sulla base delle rivelazioni del falso pentito Vincenzo Scarantino. Il “più grave depistaggio della storia giudiziaria italiana”, l’hanno definito i giudici.
“Il trend delle minacce agli avvocati è in aumento in tutto il mondo. La funzione difensiva viene vista sempre di più come una funzione al servizio del crimine o dei criminali”, conferma l’avvocato Nicola Canestrini, responsabile, insieme al collega Ezio Menzione, dell’Osservatorio avvocati minacciati dell’Unione delle camere penali italiane. “Naturalmente la funzione difensiva è a rischio soprattutto nei paesi dittatoriali. Tuttavia, anche nella civilissima Europa, l’area ritenuta più garantista e garantita, ci sono casi di avvocati minacciati e ammazzati. Due anni fa in Olanda è stato ucciso un avvocato, Derek Wiersum. In Italia in passato l’avvocatura ha pagato un prezzo altissimo, si pensi solo agli omicidi di Fulvio Croce e di Serafino Famà. Se è vero che oggi nel nostro paese gli avvocati non vengono ordinariamente ammazzati, è anche vero però che tutti i giorni si registrano attacchi alla funzione difensiva”.
“L’equivoco più diffuso è quello secondo cui il compito dell’avvocato sia quello di difendere il crimine o il criminale – aggiunge Canestrini – Purtroppo in questo Manzoni ci ha fatto un pessimo servizio. Sulla scia della figura dell’avvocato come azzeccagarbugli, si pensa che l’avvocato sia colui che per soldi mette la sua professione al servizio dei potenti. Ovviamente la nostra professione, come tutte le altre, ha una componente economica che ci consente di vivere, ma ciò non significa che la funzione difensiva venga intaccata”.
Per Canestrini, parte della responsabilità del fenomeno di denigrazione degli avvocati ricade anche sulle istituzioni: “Chi è istituzionalmente chiamato a garantire la funzione difensiva non sempre lo fa, anzi spesso si lascia andare a dichiarazioni che sono sconcertanti e che sembrano fare da volano all’odio contro gli avvocati. Abbiamo avuto esempi a bizzeffe. Un ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, presentando l’ennesima riforma che avrebbe dovuto sol per l’aumento delle pene sconfiggere i reati (e naturalmente non è stato così), ci ha definito azzeccagarbugli. Un importante magistrato, il dottor Nicola Gratteri, ha affermato che gli avvocati servono a trasmettere le minacce di morte da parte dei loro assistiti mafiosi. L’ex premier Matteo Renzi qualche anno fa, durante l’ennesima inaugurazione di un tratto della Salerno-Reggio Calabria, disse che avevamo bisogno di un’Italia che corre e non che ingrassa i conti correnti degli avvocati. Il direttore di un giornale importante come il Fatto quotidiano, Marco Travaglio, ha scritto senza mezzi termini che gli avvocati penalisti sono al soldo dei potenti e sono soltanto interessati a porre ostacoli all’accertamento della verità processuale per guadagnare la prescrizione e così salvare coloro che sanno benissimo essere colpevoli. Un importante presidente di sezione della Corte di Cassazione, ora in pensione, come Piercamillo Davigo, continua a sostenere che il problema della giustizia italiana siano i troppi avvocati (peraltro vedo che di recente anche lui ha avuto bisogno di avvocati, quindi forse avrà un po’ rivalutato la figura del difensore). Ecco, capisco che il salumiere, il medico o l’operaio, che non hanno una formazione giuridica specifica, sentendo e leggendo queste parole poi abbiano difficoltà a rispettare la funzione difensiva”.
Le conseguenze di certe prese di posizione, tuttavia, possono essere devastanti. “Nel 1989 – ricorda ancora Canestrini – un avvocato nord-irlandese, Pat Finucane, venne ammazzato da un commando dell’Ira tre settimane dopo che un sottosegretario del governo inglese, Douglas Hogg, era intervenuto in parlamento sostenendo che alcuni avvocati erano ‘indebitamente solidali’ con la causa dell’Ira”.
Di fronte alla crescente ondata di minacce nei confronti degli avvocati in giro per il mondo, l’Ucpi ha così deciso di promuovere un’iniziativa dal nome evocativo: “Adotta un avvocato minacciato”. “L’idea – spiega Canestrini – è che ogni camera penale adotti un avvocato minacciato nel mondo, sensibilizzando l’opinione pubblica sul territorio, organizzando convegni, coinvolgendo le amministrazioni locali e ospitando l’avvocato minacciato, offrendo anche corsi di formazione, ad esempio su come usare le tecnologie informatiche in modo protetto, così da evitare di essere tracciati”. Nella speranza che nell’opinione pubblica, anche italiana, lentamente si faccia strada una consapevolezza del ruolo essenziale rivestito dagli avvocati. “Anche perché – conclude Canestrini – come affermava un’altra avvocata irlandese, Rosemary Nelson, anche lei poi uccisa, se non si difendono i difensori dei diritti, chi resterà a difendere i diritti?”.