Il fango del Fatto contro Figliuolo ha due guai: la realtà e le fake
L'iscrizione del generale nel registro degli indagati sarebbe stato solo un "atto dovuto", a sua tutela. Ma per il quotidiano di Travaglio è scoop. E una sfilza di titoli a effetto
Nel Paese della gogna mediatico-giudiziaria, ormai basta ricevere un abito in regalo per ritrovarsi indagati e sputtanati sulle prime pagine dei giornali. L’assurda vicenda che nelle ultime ore ha travolto il commissario all’emergenza sanitaria, il generale Francesco Paolo Figliuolo, rappresenta la sintesi perfetta dei mali che caratterizzano la giustizia e il sistema dell’informazione in Italia.
Partiamo dalla giustizia. Un anno fa la procura di Roma apre un’indagine su presunti appalti truccati nelle forniture di arredi, uniformi, distintivi e infrastrutture alle forze armate (Esercito, Carabinieri, Aeronautica e Guardia di Finanza), per un valore pari a 18 milioni e mezzo di euro. Vengono indagate 64 persone tra imprenditori e militari. L’inchiesta viene denominata “Minerva” perché, si sa, senza un bel nome evocativo è difficile conquistare l’attenzione degli organi di informazione. La vera svolta avviene pochi giorni fa, quando viene pubblicata la notizia che tra le persone indagate ci sarebbe anche l’attuale capo di Stato maggiore della Difesa, il generale Enzo Vecciarelli, accusato di corruzione per l’esercizio della funzione: secondo le accuse, si sarebbe messo a disposizione di una società fornitrice di mascherine. In cambio Vecciarelli avrebbe ricevuto per sé e i suoi familiari utilità consistite “nella donazione di generi alimentari e di 58 capi di abbigliamento”. Tutto ancora da verificare, anche se al momento appare poco credibile che una delle massime cariche dello Stato, peraltro a un passo dalla pensione (5 novembre), abbia compromesso la sua carriera per qualche mozzarella e abito sartoriale.
Trascorrono poche ore ed ecco il secondo colpo di scena: i pm avrebbero iscritto nel registro degli indagati anche il generale Figliuolo, citato suo malgrado in alcune intercettazioni. Sul suo conto però non è emerso nulla, tanto che la procura sarebbe intenzionata a depositare una richiesta di archiviazione già nelle prossime settimane. Insomma, riferiscono fonti inquirenti, l’iscrizione di Figliuolo nel registro degli indagati sarebbe stato solo un “atto dovuto”, a sua tutela. Eppure, si fa fatica a comprendere in cosa sia stato “dovuto” questo atto. Non risulta infatti che un pm sia obbligato a indagare tutte le persone citate in conversazioni svolte da soggetti effettivamente indagati. Tanto più se si considera che ormai, come noto, è sufficiente ricevere un avviso di garanzia per finire sulle prime pagine dei giornali e subire danni irreparabili alla propria immagine. È ciò che, puntualmente, è accaduto anche in questa occasione. Arriviamo così alla seconda parte della storia, quella che riguarda l’informazione.
Il Fatto quotidiano non ci ha pensato infatti due volte prima di pubblicare in esclusiva la notizia dell’iscrizione di Figliuolo nel registro degli indagati e accendere il ventilatore del fango contro il commissario all’emergenza sanitaria nominato dall’odiatissimo premier Draghi. “’Abiti sartoriali in regalo’: indagato anche Figliuolo”, ha titolato martedì in apertura di prima pagina il quotidiano diretto da Marco Travaglio. Salvo poi spiegare all’interno dell’articolo (per chi si fosse preso la fatica di leggerlo) che in realtà l’iscrizione di Figliuolo nel registro degli indagati è stato un atto dovuto, che il generale non è mai finito direttamente nelle intercettazioni, ma sarebbero altri a far riferimento a lui, che le circostanze riguardano un periodo precedente alla sua nomina da parte del governo Draghi, e che “nelle prossime settimane, la procura di Roma depositerà una richiesta di archiviazione”.
Ma visto che il fango non è mai abbastanza, mercoledì il giornale di Travaglio ha aperto la sua prima pagina con un nuovo titolo a effetto: “4 capi di sartoria gratis a Figliuolo”. Lo scoop? Due imprenditori avrebbero spedito a Figliuolo alcuni abiti in regalo sperando che questi li indossasse in pubblico e facesse così pubblicità occulta alla loro società. Insomma, il “caso Figliuolo” è solo una pagliacciata (non dovuta).