Il caso
Sì: le esternazioni dei pm di Bergamo sono materia per il Csm
Il pubblico ministero della procura lombarda rilascia due interviste pronunciandosi sulle indagini ancora in corso sulla prima ondata di Covid in Lombardia. Toc toc, a palazzo dei Marescialli c’è qualcuno?
Solo in un paese in cui la giustizia è impazzita e in cui la magistratura ha sconfinato da tempo dalle proprie attribuzioni può accadere che un procuratore della Repubblica rilasci interviste ai giornali su un’indagine portata avanti dal proprio ufficio e ancora in corso, lasciandosi andare a giudizi anticipati che riguardano persino l’operato di un ministro del governo, e senza che nessuno, né dalla politica, né dalle istituzioni competenti (in primis il Consiglio superiore della magistratura), intervenga per far notare la grave anomalia. Il magistrato in questione è Antonio Chiappani, capo della procura di Bergamo, che dall’aprile dello scorso anno indaga sulla gestione della prima ondata di Covid-19 nella bergamasca (l’inchiesta è coordinata dal procuratore aggiunto Maria Cristina Rota).
L’indagine, aperta con l’ipotesi di epidemia colposa, inizialmente riguardava la gestione dell’ospedale di Alzano Lombardo, dove nel febbraio 2020 vennero ricoverati i primi pazienti positivi al Coronavirus, ma poi si è estesa fino a riguardare anche la mancata istituzione della zona rossa in Val Seriana e pure il mancato aggiornamento del piano pandemico nazionale. Insomma, vista l’oggettiva difficoltà di addebitare ai dirigenti delle strutture sanitarie locali la diffusione del contagio e l’aumento dei decessi (non a caso negli ultimi mesi si è assistito a una raffica di archiviazioni in tutta Italia delle indagini per epidemia colposa nei confronti dei vertici delle Rsa), i pubblici ministeri bergamaschi hanno esteso le indagini alle scelte politiche adottate in piena autonomia dal governo durante una delle peggiori pandemie della storia. Gli inquirenti hanno così ascoltato come persone informate sui fatti non solo i vertici della Regione Lombardia, tra cui il governatore Attilio Fontana, ma anche gli esponenti del governo, tra cui l’ex premier Giuseppe Conte e il ministro della Salute (poi confermato) Roberto Speranza. Al centro delle attenzioni dei pm sono così finite la mancata applicazione del piano pandemico del 2006 (che però riguardava una “pandemia influenzale”, perciò il ministero della Salute decise di elaborare un proprio piano anti-Covid) e persino la vicenda delle presunte pressioni avanzate dal governo all’Oms per far rimuovere un documento critico nei confronti della gestione italiana della pandemia. In altre parole, l’indagine della procura di Bergamo sembra essersi trasformata in un ennesimo processo alla politica.
In questo contesto, il capo della procura di Bergamo, Antonio Chiappani, ha deciso di rilasciare negli ultimi giorni una serie di interviste ad alcuni quotidiani dal contenuto a dir poco insolito. In un’intervista pubblicata domenica scorsa sul Domani, il procuratore Chiappani ha dichiarato che “il ministro Speranza non ha raccontato cose veritiere, anche questo dovremo valutare”, contribuendo a far scattare sui social la gogna contro il ministro della Salute e inducendo i parlamentari di Fratelli d’Italia a chiedere nuovamente le dimissioni di quest’ultimo. La dichiarazione del procuratore non solo giunge a indagine ancora in corso, ma si riferisce proprio alla vicenda del documento pubblicato e poi ritirato dall’Oms, di cui si fa fatica a rintracciare la rilevanza penale.
Non pago, il procuratore Chiappani ha rilasciato un’altra lunga intervista, pubblicata mercoledì sul Corriere della Sera, sempre sui contenuti dell’indagine portata avanti dal proprio ufficio. Il procuratore di Bergamo ha precisato che “allo stato non ci sono elementi per alcuna contestazione nei confronti del ministro della Sanità Speranza”, ribadendo però che sul rapporto Oms sono state raccolte “versioni diverse e incongruenze”. Chiappani si è pure lanciato in alcune considerazioni critiche, affermando che durante la pandemia le autorità sanitarie si sono mosse “con una gestione non programmata della crisi”, e che in generale “c’è stata una grande sottovalutazione del rischio”.
A quanto pare per il procuratore Chiappani è normale rilasciare interviste sui contenuti di un’indagine condotta dal proprio ufficio, avanzare giudizi anticipati e lanciare pubblicamente nei confronti di un ministro (non indagato) l’accusa di aver detto il falso. Sarebbe interessante sapere se il Csm è dello stesso parere. Nel 2018 l’organo di governo autonomo della magistratura ha adottato delle linee guida per una “corretta comunicazione istituzionale”, stabilendo una serie di principi a cui i pubblici ministeri dovrebbero attenersi nei rapporti con la stampa. Ne ricordiamo soltanto due: “l’informazione non deve interferire con le investigazioni e con l’esercizio dell’azione penale, né con il segreto delle indagini e in generale con il principio di riservatezza”; “è assicurato il rispetto della presunzione di non colpevolezza”. Toc toc, Csm, c’è qualcuno?