Le mani opache di Mani pulite
Trucchi e abusi. Il giudice Salvini svela il metodo delle inchieste sulla corruzione a Milano. Storia di uno sfregio antigiuridico e di un patto malato tra giustizia, politica e giornali, che continua a macchiare l’Italia
Sono cose che passano, come direbbe Buttafuoco. Eppure no. Certe cose passano di moda, appartengono agli incubi di una generazione ormai quasi inutile, perdono il collegamento evidente un tempo con i guai di una Repubblica decostruita, massacrata, con l’inganno, ma stranamente restano. Il giudice Guido Salvini è stato sopraffatto da un assalto di memoria e ha raccontato al giornale garantista Il dubbio quale fosse il metodo delle inchieste sulla corruzione a Milano nei primi anni Novanta del secolo scorso. Non è la prima confessione in ritardo, ma è forse quella decisiva, e per questo sarà sepolta sotto la coltre della memoria cosiddetta condivisa, cioè della storia riscritta a uso dei vincitori.
Bisognava arrestare a strascico e tenere dentro mesi per scopi incostituzionali, come la confessione, il maggior numero possibile di politici e industriali, più politici che industriali, che erano comunque le categorie decisive nel meccanismo unico di finanziamento dei partiti. Lo si fece con un trucco antigiuridico, violando il principio del giudice naturale, militarizzando il celebrato pool che aveva per le mani (opache) l’inchiesta sulle mani (pulite). Uno sfregio al più elementare criterio di giustizia, un grimaldello di cui si avvalsero per scassinare la Repubblica fior di magistrati da allora incensati come divinità, nonostante il tempo si sia incaricato di abbassare quel sopracciglio professionale dei Di Pietruzzi e dei Davighi, quel cipiglio corporativo, lo spirito gran borghese dei Borrelli a cavallo che aveva incantato il peggio di Milano e dell’Italia, cioè la grande maggioranza di tutti noi.
Mentre il popolo dei fax e delle torce faceva sfilate notturne sotto il Palazzo di giustizia chiedendo vendetta, questa vasta banda di cretini; mentre i giornali si sputtanavano per sempre concordando con i magistrati e tra di loro titoli e cronache, questa vasta congrega di squallidi opportunisti; mentre questa grande recita del giorno in pretura teneva le sue prime in cartellone con la complicità di tutta l’informazione radiotelevisiva, questa accozzaglia di dementi che indementiscono il pubblico: ecco, con un trucco infernale denunciato da Guido Salvini, che le cose le vedeva da vicino e alla fine ce l’ha fatta a raccontarle, scattavano gli arresti, tutti e sempre decisi, salvo rarissime eccezioni, da un unico giudice per le indagini preliminari, il dottore Italo Ghitti di infausta memoria politica e giudiziaria, selezionato ad hoc con un pretestuoso e ingannevole numerino di dossier come riferimento, in spregio al metodo garantista della rotazione, allo scopo di uniformare l’assalto ai partiti e alla politica. Ne scatteranno cose che voi umani non potevate forse prevedere, ma qualcuno denunciò all’epoca e previde, il premio per chi si era comportato bene nella mascherata giustizialista e il castigo per il paese intero trascinato nel disonore della demagogia e della menzogna.
L’unica rotazione ammessa dal meccanismo unico delle inchieste del famoso pool era quella fra toga e laticlavio, tra magistratura e politica, crusading prosecutors e ministeri o fondazione di minipartiti antipolitici, per non dire delle splendide carriere corazzate dai media e dai vili, e ancora si sta parlando della riforma del Csm e dell’incompatibilità funzionale tra il mestiere di parteggiare in fazione e di giudicare in giustizia (caso Maresca a Napoli). Non è consolante sapere che tutti questi fenomeni, oggi emersi alla luce del sole di testimonianze inoppugnabili, qui in questo giornale furono descritti e denunciati per tempo, è disperante invece, e molto, che sia servito a così poco rispettare un criterio elementare di verità di giustizia di politica.