I mille “errori funesti” (ogni anno) della giustizia che costano vite intere
“Il libro nero delle ingiuste detenzioni” di Stefano Zurlo racconta nove casi emblematici. Una lettura consigliata a chi si appresta a vestire la toga perché nulla quanto una sequenza di gravi abbagli "avverte i giudici sui pericoli del potere”
Un ex consigliere regionale del Piemonte, Angelo Burzi, si uccide alla vigilia di Natale denunciando di essere vittima di un caso di malagiustizia (era stato condannato in appello in un processo in cui, in primo grado, era stato assolto). L’ex governatore della regione Basilicata, Marcello Pittella, viene assolto in un processo che tre anni fa lo portò 87 giorni agli arresti domiciliari e lo costrinse alle dimissioni. Sono queste le due vicende più note che la giustizia italiana ha consegnato alle cronache sul finire del 2021. Vicende drammatiche, ma che purtroppo non costituiscono una novità.
Tra il 1991 e il 2020 circa 30 mila persone in Italia sono state arrestate per poi essere, spesso molti anni dopo, assolte o prosciolte. Quasi mille all’anno. E’ a questo esercito di reduci della malagiustizia italiana che è dedicato l’ultimo libro del giornalista Stefano Zurlo, intitolato Il libro nero delle ingiuste detenzioni (Baldini+Castoldi). Il dato, 30 mila persone arrestate o condannate ingiustamente, è mostruoso, non tanto per le pesanti conseguenze determinate dal fenomeno sulle casse dello stato (che negli ultimi tre decenni ha dovuto pagare indennizzi e risarcimenti per oltre 870 milioni di euro, una media di 29 milioni all’anno), quanto per le devastazioni prodotte da tutto ciò sulla vita delle persone coinvolte, sotto ogni punto di vista: umano, familiare, sociale, economico, reputazionale (l’onnipresente gogna mediatico-giudiziaria, la cui inciviltà descriviamo da tempo su queste pagine).
Nel suo libro, Zurlo racconta nove casi emblematici di vittime di ingiusta detenzione (cioè coloro che subiscono una custodia cautelare in carcere o agli arresti domiciliari, salvo poi essere assolti) e di errori giudiziari (cioè coloro che, dopo essere stati condannati con sentenza definitiva, vengono assolti in seguito a un processo di revisione). “E’ un errore, state sbagliando, sono innocente”, è una delle frasi che risuonano con maggiore frequenza nelle pagine del libro. E si fa fatica a non provare un brivido, a non rintracciare una triste analogia con quanto avvenuto nella vicenda di Angelo Burzi, il quale, prima di uccidersi alla vigilia di Natale, nella sua lettera-testamento si è detto “certo di essere totalmente innocente”. Il brivido diventa terrore leggendo le testimonianze raccolte da Zurlo.
Si inizia con la storia di Jonella Ligresti, figlia primogenita del “re dell’edilizia” Salvatore Ligresti (morto nel 2018), prosciolta lo scorso maggio da tutte le accuse nell’inchiesta Fonsai, insieme al fratello Paolo e alla sorella Giulia. Peccato che, a causa dell’inchiesta, nel 2013 Jonella venne arrestata, per poi passare quattro mesi in carcere e altri otto ai domiciliari. Falso in bilancio e aggiotaggio informativo, le accuse. Ci sono voluti il carcere, otto anni di inchieste e di dibattimenti, una condanna in primo grado poi annullata, la perdita della compagnia assicurativa di famiglia e di tutte le altre cariche per arrivare al proscioglimento da tutte le accuse. Una via crucis che Jonella racconta, con coraggio e commozione, ricordando la sofferenza patita in carcere e fuori.
Ci sono storie meno note, ma non meno incredibili e terrificanti, come quella di Pietro Paolo Melis, incarcerato diciotto anni e mezzo per sequestro di persona sulla base di un’intercettazione in cui si sentiva una voce che – anni dopo – si scoprirà non essere sua. “Mi hanno arrestato quel giorno di dicembre del 1997 che ero giovane, avevo 37 anni – racconta Melis – mi hanno messo fuori il 15 luglio 2016 che ero ormai vecchio, o quasi, 56 anni”.
C’è la storia di Angelo Massaro, che in carcere da innocente ha trascorso 21 anni, uno in meno di Giuseppe Gulotta, tenuto in carcere da innocente per 22 anni sulla base di una confessione estortagli attraverso torture. Con precisione e sensibilità, Zurlo ricostruisce le tappe di queste vicende drammatiche, lasciando all’ex procuratore aggiunto di Venezia Carlo Nordio il compito, nella prefazione, di sollevare l’attenzione sul tema della responsabilità (di fatto inesistente) degli autori degli scempi giudiziari. Così, Nordio si spinge a suggerire la lettura del libro a chi si appresta a vestire la toga, “perché nulla quanto una sequenza di errori funesti avverte i giudici sui pericoli del potere” e perché “riflettere sugli sbagli dei colleghi, se proprio non si riesce a riconoscere i propri, potrebbe servire per evitare danni irreparabili ai suoi simili”.