Crisanti e il guaio dei pm che sindacano la discrezionalità della politica
La maxi-inchiesta su tutto ciò che è avvenuto durante la prima fase della pandemia si affida a una perizia che conferma tutti i limiti di un’indagine che sembra essersi trasformata in un processo agli attori politici
Andrea Crisanti, microbiologo dell’Università di Padova, ha depositato nei giorni scorsi la perizia richiestagli dalla procura di Bergamo che sta conducendo l’indagine sulla gestione della prima ondata della pandemia da Covid-19 nella bergamasca. L’indagine, aperta con l’ipotesi di epidemia colposa, inizialmente riguardava la gestione dell’ospedale di Alzano Lombardo, dove nel febbraio 2020 vennero ricoverati i primi pazienti positivi al coronavirus, ma poi si è estesa fino a riguardare anche la mancata istituzione della zona rossa in Val Seriana e pure il mancato aggiornamento del piano pandemico nazionale.
Insomma, come già evidenziato tempo fa su queste pagine, l’indagine dei pm bergamaschi sembra essersi trasformata in una maxi-inchiesta su tutto ciò che è avvenuto durante la prima fase della pandemia e (aspetto ancor più preoccupante) in un vero e proprio processo alla politica: in un’indagine, cioè, che mira a sindacare scelte assunte dagli attori politici (dai vertici della Regione Lombardia, fino ad arrivare all’allora premier Giuseppe Conte e il ministro della Salute Roberto Speranza) nella loro legittima discrezionalità politica, peraltro in una fase caratterizzata da emergenza e incertezza.
Non è chiara la ragione per la quale i pm bergamaschi abbiano deciso di affidare la perizia a un microbiologo come Crisanti, anziché, per esempio, a un virologo o a un epidemiologo, magari più competenti a esprimere una valutazione sulle dinamiche di diffusione di un virus. Ciò che è certo è l’effetto mediatico raggiunto dall’operazione. “Covid, Crisanti: ‘La zona rossa nella bergamasca avrebbe evitato migliaia di morti’”, è la notizia rilanciata con enfasi dagli organi di informazione nelle ultime ore. Crisanti ha infatti consegnato agli inquirenti la sua perizia (composta da un centinaio di pagine e oltre 10 mila documenti allegati) ma, visto che in Italia il segreto investigativo è una barzelletta, nel giro di pochi minuti i contenuti più rilevanti della perizia sono “ufficiosamente” trapelati dalle stanze della procura di Bergamo. Tra questi una stima elaborata dal microbiologo secondo la quale la tempestiva istituzione della zona rossa in Val Seriana avrebbe potuto evitare “tra le duemila e le quattromila vittime”.
In realtà, la perizia realizzata da Crisanti, piuttosto che aiutare a chiarire le vicende che caratterizzarono le prime fasi della diffusione del virus nella bergamasca, conferma in modo emblematico tutti i limiti di un’indagine che sembra essersi trasformata in un processo alla discrezionalità della politica. Così, Crisanti nella perizia afferma che sono emerse “criticità a proposito dell’istituzione e tempestività della zona rossa” e “dell’applicazione del piano pandemico nazionale anticovid”, ma poi, intervistato, è lo stesso microbiologo a dichiarare che “non è detto che l’emergere di criticità significhi che sono emerse anche responsabilità”, e che inoltre molte delle scelte fatte in quel periodo furono “prese in buona fede sulla scorta delle conoscenze che si avevano”.
E ancora. Dalla relazione trapela la stima sulle migliaia di vittime che si sarebbero potute evitare, ma lo stesso Crisanti in un’intervista al Corriere della Sera spiega: “Sono dati che non vogliono dire nulla, decontestualizzati. Le stime riportate sono delle invenzioni, numeri buttati a caso. Nella mia relazione c’è un calcolo sulle vittime che si sarebbero potute evitare, giorno per giorno, ma i dati non sono questi. Ovvio che un lockdown al giorno zero avrebbe evitato tanti morti, ma non ha senso dire ciò che sarebbe successo se la misura di zona rossa non era esigibile”.
Insomma, siamo di fronte all’emblema del corto circuito giudiziario creato dalla procura di Bergamo: persino le stime contenute nella perizia elaborata da Crisanti possono essere oggetto di letture discrezionali. Il colmo per un’indagine che, con una certa invadenza, mira a configurare responsabilità penali nei confronti di scelte discrezionali adottate dalla politica durante una delle peggiori pandemie della storia.