La cultura politica di Mattarella e l'emergenza trascurata. Sette anni per la giustizia
Il discorso del presidente per la sua rielezione non sarà “programmatico”. Ma sulla vera emergenza italiana, il disastro giudiziario, dovrebbe mostrare più forza di quella usata in passato
Quando questo pomeriggio Sergio Mattarella giurerà davanti al Parlamento per il suo secondo mandato da presidente della Repubblica, una cosa “che non dovremmo aspettarci nel testo programmatico che sarà letto… è una forte pressione sulle riforme”. O almeno questo è il consiglio prudenziale offerto sul Corriere della Sera da Marzio Breda, quirinalista espertissimo e per così dire ufficioso. Le previsioni esistono per essere smentite, e il bello delle elezioni sortite più dalla necessità che dal caso è che a volte possono riservare sorprese; ma questo è più che altro un augurio che l’Italia bisognosa di riforme fa a sé stessa, in un giorno importante.
Così, aspettando le parole del presidente della Repubblica e mentre i partiti già si attorcigliano nelle trappole della legge elettorale, ci si può augurare che il secondo mandato di Mattarella coincida con una nuova spinta sulla più annosa delle emergenze italiane, il disastro della giustizia: un buco nero che ci rende uno dei paesi meno civili d’Europa e che rischia persino – se non andranno a regime entro pochi mesi i decreti attuativi delle riforme chieste nell’ambito del Next Generation Eu – di metterci ai margini dell’Europa. E su questo tema specifico, accogliendo l’invito alle basse aspettative di Marzio Breda, bisogna con onestà dire che il primo mandato di Mattarella non è stato, per una serie di cause e concause, particolarmente performante. Eppure nei sette anni trascorsi, tra degenerazioni correntizie della magistratura, strascichi di interminabili inchieste-monstre, ripetute condanne europee per la vergogna delle nostre carceri le occasioni per tuonare, dal Colle, non sono mancate.
Un garantista militante come Piero Sansonetti è giunto a dichiararsi, sul Riformista, deluso della rielezione “perché Mattarella in questi anni si è dimostrato subalterno alla magistratura e in particolare al partito dei pm”, non sufficientemente forte nel contrastare quello che a molti sembra ormai più che un potere costituzionale uno strapotere. Non è necessario essere così severi. Un politico di chiaro impegno garantista come Enrico Costa – tra i protagonisti della lotta per una delle riforme più civili avviate dal ministro Marta Cartabia, la legge sulla presunzione di innocenza – ritiene ad esempio, parlando col Foglio, che non ci sia nulla da rimproverare ai ripetuti appelli e alla moral suasion del presidente, “ha usato spesso parole molto molto forti”, dice: “Credo piuttosto che il vero scontro, ad esempio sulla riforma del Csm che è imminente, sia tra il Parlamento e il governo” in una fase in cui, pre Quirinale, la forza del governo era relativa. C’è un raffronto, quello indicato da Breda, che va considerato. Alla sua rielezione Giorgio Napolitano – diversa tradizione politica e temperamento – una “forte pressione sulle riforme” la esercitò, “investendo addirittura un comitato di saggi del compito di studiarle e prepararne un profilo di fattibilità”. Ma, tralasciando che neppure lo sforzo di Napolitano raggiunse l’esito sperato, quel disegno riguardava l’architettura politica. Qui si vuole restringere il campo all’emergenza della giustizia, di cui Mattarella è ovviamente consapevole.
La prima scadenza è la riforma del Consiglio superiore della magistratura, su cui ancora lo scorso novembre Mattarella insisteva per una riforma “non più rinviabile”, e in grado di “sradicare accordi e prassi elusive di norme che, poste a tutela della competizione elettorale, sono state talvolta utilizzate per aggirare le finalità della legge”. Da presidente del Csm, oltre due anni dopo la deflagrazione del caso Palamara (e del caso Milano, e dello scontro Greco-Davigo) secondo alcuni osservatori Mattarella avrebbe potuto imporre di più. Ma al di là dei ruoli costituzionali, basilari per il presidente costituzionalista, e del garbo istituzionale, va tenuta presente anche la storia politica e personale di Sergio Mattarella. Giurista e docente, l’inizio della sua lunga esperienza politica coincide con l’uccisione da parte della mafia del fratello Piersanti, e l’impegno nella sinistra democristiana fu fin da subito nel segno della “primavera” palermitana, di Leoluca Orlando e dei gesuiti dell’Arrupe, che della vicinanza all’antimafia dei magistrati hanno sempre fatto una bussola politica. La storia italiana ha sempre visto la sinistra dc, a fianco della sinistra, sostenere i magistrati, sorvolando nel caso sopra certe esondazioni. Per temperamento e per visione, uno scontro tra il presidente Mattarella e il roccioso potere dei magistrati – fosse pure il potere d’interdizione sulla riforma della giustizia – è da escludere. Eppure le critiche, e un leggero scetticismo sulla possibilità che il rieletto presidente del Csm, possa suggerire (sempre di suggerimento si parla) cambi di passo radicali non mancano.
Gian Domenico Caiazza, presidente dell’Unione delle camere penali, dice al Foglio che il settennato appena concluso “non ha lasciato traccia nel campo della giustizia penale, né sui temi del processo, delle carceri, della riforma ordinamentale. Mattarella ha pronunciato alcuni appelli al riscatto morale, che ovviamente vanno benissimo, ma il problema è di intervenire sull’ordinamento, non sull’etica”. Dal presidente del Csm, lascia intendere, avrebbe dovuto, e dovrebbe, provenire un’azione più forte. Così, annota, l’attuale riforma del Csm “appare molto debole, e non affronta i nodi più importanti, che non sono certo il sistema elettorale”. Secondo Caiazza, invece, il vero problema del nostro sistema sta molto più nel cattivo controllo qualitativo e degli avanzamenti di carriera, che sono pressoché automatici. Così come, parlando di un altro grande tema, “quello che conta davvero non è la responsabilità civile dei giudici, bensì la loro responsabilità professionale. E’ questo che andrebbe meglio controllato, e su cui la riforma è debole”. Debole perché, secondo il presidente delle Camere penali, sulla riforma ordinamentale il governo ha accettato di svolgere un confronto per così dire limitato a un faccia a faccia con l’Ann. “Ma come può essere fatta una riforma in cui si va direttamente a trattare con il potere che deve essere riformato?”. Il secondo Mattarella, riflette invece Enrico Costa, “saprà aumentare il peso della moral suasion, anche perché oggi nel Parlamento ci sono forze politiche che sono disposte a sostenere la riforma”. Ma la giustizia è un’emergenza che dovrebbe essere sempre ricordata, ai massimi livelli dello stato. I referendum di cui a breve si conoscerà l’ammissibilità, sono una plateale dimostrazione di quanto i cittadini siano insoddisfatti di una giustizia di cui sono spesso soltanto vittime.