Il referendum per una giustizia nuova: né manettara, né esitante

Riportare il discorso sui delitti e sulle pene a un canone liberale è un’impresa che richiede da tutti, politici e magistrati, un’autocritica profonda

Al direttore - I referendum promossi dal Partito radicale e sostenuti dalla Lega non realizzano le riforme sufficienti per mettere in sicurezza la giustizia penale, ma ne costituiscono la condizione necessaria. Se oggi la Corte costituzionale sarà coerente con gli auspici del suo presidente Amato e li ammetterà senza “cercare il pelo nell’uovo”, ci sarà almeno la speranza di aprire una discussione non inutilmente polemica o corriva.

  
In un paese in cui il populismo giudiziario ha affratellato politici e magistrati e l’uso demagogico del diritto penale ha precorso i motivi più caratteristici del populismo elettorale – che si è affermato proprio come pervertita domanda di giustizia, cioè di galera –, riportare il discorso sui delitti e sulle pene a un canone liberale è un’impresa che richiede da tutti, politici e magistrati, un’autocritica profonda e la totale messa in discussione dell’uso della giustizia penale come mezzo di ecologia politica o, peggio, di igiene morale della società.

  
La verità è che nessun partito, a esclusione di quello Radicale, può dichiarare la propria estraneità a questo sistema affermatosi per progressivi slittamenti, che ha finito per identificare la tutela penale con la tutela democratica tout court e per dilatarne il perimetro fino a comprendervi qualunque problema di effettiva rilevanza pubblica. Questa deriva panpenalistica non solo ha reso l’attività di repressione criminale, anche a fini dimostrativi, il terreno privilegiato della legittimazione politica di leader e partiti (ciascuno, com’è noto, coi propri “reati di riferimento”), ma ha anche trasformato la giustizia penale in un oracolo dai responsi casuali, che avvicinano la giurisdizione alle distopie fantastiche della “Lotteria a Babilonia” di Borges o delle “Justice Machines” di Charpentier. 

  
Nulla, infatti, come la natura randomica dei giudizi rende la giustizia tanto temibile quanto arbitraria. E nulla come la minacciosa imponderabilità delle sentenze presta un’aura sacrale al sacerdozio togato, che reclama nell’indipendenza e nell’autonomia il diritto di fare da sé e per sé, come un potere assoluto.
Per queste ragioni si è costituito il “Comitato garantista per il Sì”, promosso da Italia europea e Comitato Ventotene: per raccontare l’urgente bisogno di una riforma della giustizia, ma anche per dare un’esposizione garantista, non viziata da retaggi manettari, ma neanche troppo pavida ed esitante, delle buone ragioni dei referendum. La terzietà dei giudici, la riforma anti correntizia del Csm, la responsabilità dei magistrati e la valutazione non corporativa delle loro competenze, la presunzione d’innocenza e la difesa di indagati e imputati da pene che anticipino il giudizio definitivo costituiscono una sorta di indice delle principali emergenze della giustizia penale.  

   
È ovviamente più semplice sostenerli o avversarli a seconda che si sia sostenitori e avversari degli attuali promotori. Di Salvini o, come sicuramente si dirà, “delle destre”. Ma chi si incamminerà su quella strada segnata – favorevole o contrario che sia – contribuirà solo a sciupare l’occasione offerta dai referendum.

   
Carmelo Palma
Ariela Briscuso