L'ambiguità della strumentalizzazione politica dei referendum
Sulla giustizia tutto è ovvio. Meglio un sì ambiguo alla separazione delle carriere che un no di principio frutto di rozzo moralismo
Firmare con il partito del cappio, agitato alla Camera da un nobile antesignano del senatore Salvini, era impossibile non già per ragioni di principio, estranee a noi immoralisti comuni, cittadini in politica, ma di gusto e di memoria. La riscoperta del garantismo dei forcaioli ha come tutto un limite. Ora che il famoso “quadro normativo” non c’è, tuttavia, perché il Parlamento su queste cose è in vacanza da quando abolì l’articolo 68 che sanciva la divisione dei poteri, trent’anni di vacanza o latitanza, ci sono i referendum sulla giustizia. Sulla coltivazione della cannabis sativa, chi vuol esser lieto sia (dico personalmente, ho una moglie californiana, e la amo, nessuno è perfetto). Sullo spegnimento legale e codificato di vite sofferenti, chi vuol esser triste sia, nel mondo del diritto a morire. Io no. Avrei delle obiezioni non necessariamente cattoliche, anzi moltissimo laiche, a legiferare per scelta popolare nella zona grigia delle esistenze individuali, preferisco la carità cristiana e liberale.
Sulla giustizia tutto è ovvio. I referendum abrogativi, una volta filtrati da una Corte di parrucconi benemeriti che non cercano il pelo nell’uovo, come dice il presidente Amato, sono una domanda, ammettono un sì o un no, il cappio ti tiene fuori dalla militanza attiva ma la domanda ti riguarda in modo non passivo. Certo, quando ero craxianissimo ma abbastanza frondista da non perdere la testa completamente, speravo che il pelo nell’uovo, e ne scrivevo, rovinasse il giochetto a Martelli sul nucleare: oggi pago con riscaldamento e bollette e inflazione il fio del pelo e dell’uovo, ma è cosa fatta tra burni applaudismenti, molti applausi, meglio di una standing ovation. Quanto alla responsabilità civile, in un mondo ideale tutti i pm dovrebbero essere disciplinarmente e civilmente responsabili dei loro errori negligenti e comportamenti dolosi. Quelli di Mafia Capitale e della pubblicazione agli atti delle lettere tra padri e figli dovrebbero cambiare lavoro ipso facto, potrebbero venire a fare del giornalismo, e non cambierebbe molto né per loro né per il mio vecchio e disonorevole mestiere, tutto sommato, salve le conseguenze per i cittadini innocenti colpevoli e presunti chissà che. Però che magistrati e giudici debbano pagare patrimonialmente, anziché in scatti di carriera e incompatibilità con il loro duro mestiere, che debbano sborsare in via diretta, tanti maledetti e subito, non mi sembra una grande idea per l’amministrazione della giustizia, non ci vedo il limite autentico e razionale allo spirito forcaiolo. La gogna andrebbe curata altrimenti, se è curabile, del che si può discutere. Dunque no.
La separazione delle carriere sì, certo, di corsa, senza indugio né dubbio intellettuale o etico. Chi accusa accusa, se possibile con il fair play richiesto espressamente dal codice di procedura penale, chi giudica giudica, e al diavolo le conseguenze che azzeccano garbugli. Il resto mi pare meno importante e in qualche caso, come quello della custodia cautelare in carcere, ci vorrebbe semplicemente un altro decreto Biondi, altro che referendum. Non mi sfugge ovviamente che la strumentazione politica dell’occasione referendaria, a parte il ruolo sempre adamantino dei radicali, ha qualcosa di radicalmente ambiguo. Meglio un sì ambiguo alla separazione delle carriere, venuto dopo le inchieste su rubli e altro, burni applaudismenti, che un no di principio frutto di rozzo moralismo.
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