Giuliano Amato (foto Ansa)

Parlano i prof

I commenti politici e i giudizi sul Parlamento di Amato. Esiste un “rischio Cossiga” alla Consulta?

Ruggiero Montenegro

“Non penso che il presidente possa prevaricare le sue funzioni”, dice il professor Pertici, ordinario di diritto costituzionale a Pisa. "È il segno dei tempi. Si è creato un piccolo precedente. Ma oggi non ci sono rischi", è il commento di Giovanni Guzzetta, ordinario di Diritto pubblico a Tor Vergata

E’ il segno dei tempi, tempi mediatizzati. E non c’è niente di strano che lo Zeitgeist abbia raggiunto anche l’Elisio della corte Costituzionale. Mai d’altra parte c’era stato un presidente della Consulta, prima di Giuliano Amato, che – consegnandosi alle domande dei giornalisti – non solo spiegava in anticipo le sentenze (non ancora pubbliche). Ma pure esprimeva giudizi sul Parlamento.

 

“La particolarità della conferenza stampa del presidente Amato”, dice il professor Andrea Pertici, ordinario di diritto costituzionale a Pisa, “credo sia stata legata alla notevole attesa maturata rispetto ai quesiti referendari. In particolare penso alla cannabis e all’eutanasia. Argomenti sui quali è emersa una forte sensibilità popolare”. E insomma, dice il professore, l’inusuale (secondo alcuni) conferenza stampa ha trovato la sua ragione nella necessità di spiegare in termini comprensibili delle scelte forse impopolari da parte della corte. Giovanni Guzzetta, ordinario di Diritto pubblico a Tor Vergata la pensa all’incirca allo stesso modo. “Già in passato avevamo assistito a esternazioni da parte del presidente della Consulta, per esempio nel corso della presentazione della relazione annuale. È già capitato infatti che i presidenti svolgessero delle riflessioni, richiamando il Parlamento  alla propria responsabilità”.

 

Anche se forse, si obietta sia al professor Guzzetta sia al professor Pertici, mai con un linguaggio così diretto. Per esempio quando il presidente Amato, in relazione all’eutanasia, ha detto che “il nostro Parlamento non dedica abbastanza tempo per cercare di trovare la soluzione e ha grosse difficoltà a mettersi d'accordo su questi temi”. Oppure quando ha espresso un giudizio sul sistema di raccolta delle firme elettroniche,  sostenendo che le firme per così dire “analogiche” siano migliori in quanto “al gazebo ci si impadronisce di ciò che si firma” e su Internet no.

 

La domanda dunque per gli studiosi del diritto pubblico è: che succede se la Corte costituzionale parla non solo attraverso le sentenze ma interviene esplicitamente su quel labile confine che separa la sua funzione dalla politica? Da un canto Amato ha soffiato via la polvere dalle parrucche, ma forse ha anche introdotto una novità destinata - chissà - a cambiare la funzione pubblica della corte stessa. Né Pertici né Guzzetta sembrano pensarla così. Tuttavia Guzzetta dice: “La società mediatizzata impone di parlare e di farsi vedere. Bisogna prenderne atto. E’ ovvio però che ci sono dei rischi, anche Amato sa che facendo così espone la Corte. Ma è un rischio forse inevitabile. Nel momento in cui l’organo non parla più solo attraverso le sentenze ma anche attraverso le dichiarazioni del presidente, per giunta in un botta e risposta con i giornalisti, ovviamente quello che viene detto è suscettibile di essere oggetto di dibattito e di critica. E quindi non è consegnato solo al testo scritto delle decisioni”.

La dichiarazione, insomma, dice Guzzetta, “espone l’esternante al giudizio della critica, annulla quell’intercapedine che esisteva tra l’istituzione e l’opinione pubblica”. E però, forse non è (ancora?) il caso di Amato, ma questo modo di fare potrebbe addirittura modificare il ruolo della Corte costituzionale, che già agli albori della Repubblica “preoccupava” chi, come per esempio Palmiro Togliatti la considerava una bizzarria: “Un organo che non si sa cosa sia e grazie alla istituzione del quale degli illustri cittadini verrebbero a essere collocati al di sopra di tutte le assemblee e di tutto il sistema del parlamento e della democrazia”. Viene il dubbio di cosa potrebbe accadere, in un futuro certo distopico, nel quale il presidente della Consulta esternatore non sia una persona della levatura di Giuliano Amato ma – chissà – qualcuno affetto da estrema vanità o instabilità. Una specie di Cossiga alla Corte costituzionale.

 

Ma il professor Pertici ci crede fino a un certo punto. “Non penso che il presidente della Consulta, considerata la modalità con cui viene eletto e le sue competenze, possa prevaricare le sue funzioni”, dice. Il professor Guzzetta invece, che ha enorme stima di Amato, ritiene tuttavia che un piccolo precedente si sia prodotto. Ci sono rischi? “Ovviamente sì, per il futuro. La terzietà della Corte costituzionale non dovrebbe mai potere essere messa in discussione. E se dovesse accadere un giorno toccherà alla politica prendere contromisure”.