Botta e risposta con Grasso sul conflitto di attribuzioni
Ci scrive il senatore, che parla di un presunto “paradosso” a proposito del voto del Parlamento sul caso Open
Al direttore - Sarebbe bastata una telefonata per evitare di scrivere fake news in merito a fantomatiche mie “balle” e “fake news”. Avrei potuto facilmente illustrare al cronista, infatti, come quanto detto nel mio intervento in Senato sia la diretta conseguenza della relazione approvata, e anche una proposta per risolvere, per tutti i parlamentari ora e in futuro, il problema sollevato dal senatore Renzi. La relazione considera l’acquisizione dei messaggi come sequestro di corrispondenza, e conclude “che occorre in ogni caso l’autorizzazione preventiva a prescindere dalla circostanza dell’utilizzo o meno di tali prove nei confronti del parlamentare e a prescindere che il sequestro avvenga verso terzi”. Si è stabilito quindi un vero paradosso: la necessità di una richiesta preventiva per il sequestro di un dispositivo elettronico a un non parlamentare, nel caso in cui si trovino successivamente scambi con un parlamentare, pretendendo quindi una sorta di “preveggenza” dell’autorità giudiziaria. Considerando poi tali scambi, di qualsiasi natura, come corrispondenza, per le previsioni della Legge 140 del 2003 in caso di mancanza di una – impossibile – autorizzazione preventiva tali comunicazioni divengono inutilizzabili sia nei confronti del parlamentare che nei confronti del proprietario del dispositivo.
Questo è esattamente quello che ho detto in Aula, come risulta dallo stenografico. Le mie riflessioni sono supportate anche dalla più recente giurisprudenza della Cassazione. Cito la sentenza del 6 maggio 2021: “La categoria del documento risulta essere in continua espansione in ragione del processo tecnologico. Attualmente può ritenersi che i dati informatici (sms, messaggi WhatsApp, messaggi di posta elettronica scaricati o conservati nella memoria) rinvenuti in un telefono cellulare sottoposto a sequestro abbiano natura di documenti, con la conseguenza che la relativa acquisizione non soggiace né alle regole stabilite per la corrispondenza, né tantomeno alla disciplina delle intercettazioni telefoniche”. Ho anche spiegato perché il caso Siri sia completamente diverso: è erroneamente indicato come valido precedente, ma in quel caso si trattava di un atto di investigazione diretto nei confronti di un senatore, anche se su dispositivi di un suo collaboratore.
Riporto dallo stenografico un passaggio che smentisce altre righe dell’articolo: “Senza che questo stupisca, su alcuni aspetti penso che il senatore Renzi abbia ragione. Io mi sono chiesto come mi sarei comportato da procuratore. Io avrei forse ritenuto opportuno investire della questione sollevata dal senatore Renzi il giudice per le indagini preliminari che, nella sua terzietà, avrebbe garantito il corretto svolgimento delle indagini e avrei rispettato le sue decisioni”.
Mi ha colpito che una testata di solida fede garantista come il Foglio abbia ignorato l’aspetto propositivo del mio intervento: “Per questo, ritengo che non ci siano i presupposti per sollevare un conflitto di attribuzione, come prevede la relazione, ma che sia invece urgente intervenire integrando la disciplina della legge n. 140 del 2003 a tutela di tutti i componenti del Parlamento. […] Si dovrebbe quindi assimilare per legge ciò che transita dai nostri smartphone (sms, messaggi WhatsApp e di posta elettronica in memoria) alla disciplina già prevista per le intercettazioni indirette, prevedendo quindi per tutti i parlamentari la necessaria richiesta di autorizzazione (nda, davanti al gip) all’utilizzo anche dei documenti (nda: una volta rinvenuti nel dispositivo di un non parlamentare). Questa innovazione legislativa non solo colmerebbe un vuoto, ma, per il principio del favor rei, si applicherebbe allo stesso senatore Renzi già nel procedimento in corso”.
Basterebbe questo a evitare, ora e in futuro, dubbi interpretativi in merito alla tutela delle prerogative di tutti i parlamentari. Nel caso in cui venissero trovati scambi di messaggi con un parlamentare nel dispositivo di un terzo, infatti, sarebbe la Giunta e poi l’Aula della Camera di appartenenza a pronunciarsi, come nel caso delle intercettazioni indirette, sulla casualità o meno del rinvenimento, e a valutarne l’autorizzazione o meno per l’utilizzo nei confronti del solo parlamentare. Alle evoluzioni dei media occorre rispondere con opportune innovazioni legislative, specialmente su aspetti così delicati, per questo ho già pronta una proposta di legge in tal senso.
Pietro Grasso, ex presidente del Senato e senatore di Leu
Risponde Ermes Antonucci. Dispiace constatare come il senatore Grasso continui a fare confusione sulle ripercussioni del voto espresso dal Senato sul conflitto di attribuzioni con la procura di Firenze. Non esiste nessun “paradosso”, come da egli scritto: qualora infatti la Corte costituzionale accogliesse la tesi del Senato e di Renzi, soltanto l’acquisizione di chat, sms ed e-mail riguardanti un parlamentare sarebbe sottoposta ad autorizzazione della Camera di appartenenza, ma non tutte le conversazioni contenute nel telefono sequestrato al presunto criminale o mafioso (come sostenuto in maniera piuttosto fantasiosa dal Fatto quotidiano, proprio sulla base delle parole espresse in aula da Grasso). Non sarebbe pretesa nessuna “preveggenza” all’autorità giudiziaria, ma solo il rispetto delle regole e delle garanzie costituzionali a tutela del mandato parlamentare, esattamente come quanto accaduto nel caso Siri: i magistrati di Milano hanno sequestrato il cellulare del suo collaboratore, estraendo tutte le chat e i messaggi in esso contenuti ma si sono fermati di fronte alle conversazioni riguardanti il senatore Siri, chiedendo per il loro utilizzo l’autorizzazione al Senato. Il senatore Grasso sembra far leva sull’ingenuità del lettore quando afferma che il caso Siri è “completamente diverso” da quello di Renzi: risulta palese, infatti, che il sequestro di documenti e dispositivi informatici effettuato dalla procura di Firenze nei confronti dei collaboratori di Renzi abbia avuto come obiettivo quello di investigare anche sulla figura di Renzi, poi infatti puntualmente indagato. Sulla giurisprudenza della Cassazione che supporterebbe la tesi di Grasso, ci limitiamo a evidenziare come nessuna di queste sentenze abbia mai riguardato un parlamentare, certamente non assimilabile – come affermato dalla Corte costituzionale – a un cittadino comune in quanto a livello di tutela della segretezza della propria corrispondenza. Sulla necessità di un intervento legislativo integrativo sulla legge n. 140 del 2003 non possiamo che concordare con il senatore.