Le manovre indecorose sul caso Eni che non interessano a nessuno
La procura di Milano tentò di condizionare la sentenza sulla società petrolifera (poi finita con un'assoluzione). Ma né il Csm né il Parlamento se ne curano
Non potendo contare su prove a sostegno dell’accusa rivolta a Eni di aver compiuto una corruzione internazionale in Nigeria da oltre un miliardo di dollari (processo concluso con l’assoluzione di tutti gli imputati), la procura di Milano tentò, non riuscendovi, di far saltare il banco accusando il collegio giudicante di non essere imparziale, attraverso le dichiarazioni – non riscontrate – di un pluricondannato come Piero Amara. I dettagli del tentativo fallito dei vertici della procura milanese emergono dalla sentenza con cui il gup di Brescia ha assolto il pm milanese Paolo Storari dall’accusa di rivelazione di segreto d’ufficio, per aver consegnato nell’aprile 2020 all’allora consigliere del Csm Piercamillo Davigo i verbali secretati degli interrogatori resi dall’avvocato Amara sulla fantomatica “loggia Ungheria”.
Abbiamo già evidenziato l’ambiguità delle motivazioni adottate dal giudice per assolvere Storari, che consegnò i verbali a Davigo giustificandosi con l’esigenza di autotutelarsi dall’inerzia a suo dire dei vertici della procura (l’allora capo Francesco Greco e l’aggiunto Laura Pedio). In sostanza, il giudice ha stabilito che Storari commise un errore passando i verbali a Davigo (e non segnalando le presunte irregolarità al comitato di presidenza del Csm, come previsto dalle circolari proprio del Csm), ma l’errore è “scusabile”, in quanto il pm fu indotto a passare le carte da Davigo. Per il giudice bresciano, inoltre, le circolari del Csm risultano pure di non chiara interpretazione. Al di là della vicenda della consegna dei verbali, però, nessuno sembra aver posto l’attenzione su alcuni passaggi dell’assoluzione di Storari che rivelano i veleni emersi nella procura milanese (e tra la procura e il tribunale) attorno al processo Eni-Nigeria, finito con l’assoluzione di tutti gli imputati da parte del collegio giudicante presieduto da Marco Tremolada.
In un interrogatorio ai pm bresciani, Storari racconta di aver partecipato a una riunione con Greco, Pedio e i due pm titolari del processo, Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro. In quell’occasione De Pasquale e Spadaro chiesero a Storari la trasmissione dei verbali di Amara, la cui attendibilità era ancora tutta da verificare: “Dissero che bisognava far astenere Tremolada perché aveva un atteggiamento di appiattimento sulle difese e mi diedero del ‘corporativo’ nel senso che volevo difendere il collega Tremolada”. A fine gennaio 2020, in pieno dibattimento del processo Eni e nonostante la contrarietà di Storari, Greco e Pedio trasmisero le dichiarazioni di Amara su Tremolada ai colleghi di Brescia (competenti sui magistrati di Milano), i quali aprirono un’inchiesta, poi archiviata in virtù dell’inattendibilità di Amara.
De Pasquale e Spadaro invece chiesero, senza successo, di ascoltare in aula Amara sulle presunte interferenze di Eni sul collegio giudicante. Un atto gravissimo, poi censurato anche dallo stesso tribunale, che accusò la procura di aver tentato di mettere in dubbio “il carattere di terzietà” del collegio di giudici. Di recente i giudici bresciani hanno scagionato Greco dall’accusa di aver ritardato le indagini sulla loggia Ungheria e a breve lo stesso dovrebbe accadere anche per Pedio. Il tentativo indecoroso con cui la procura milanese cercò di condizionare la sentenza sul caso Eni-Nigeria sembra invece non interessare: né al Csm né in Parlamento.