Il disastro giudiziario del processo sulla bonifica di Bagnoli
A distanza di quindici anni dalle indagini, la corte d’appello di Napoli ha assolto tutti gli imputati del processo sulla presunta mancata bonifica dell’ex area Italsider ed Eternit. Peccato che nel frattempo l’iniziativa giudiziaria abbia prodotto danni economici ingenti
“Non si è trattato di disastro ambientale, ma di un disastro giudiziario”. La miglior sintesi del processo sulla bonifica di Bagnoli, il quartiere della zona occidentale di Napoli dove sorgevano gli ex stabilimenti Italsider ed Eternit, lo ha fornito nel corso del dibattimento – e lo ribadisce ora al Foglio – l’avvocato Riccardo Polidoro, legale di due dei cinque imputati assolti alcuni giorni fa dalla corte d’appello di Napoli. Annullando la sentenza di condanna di primo grado del 2018, i giudici di appello hanno infatti assolto tutti gli imputati, con la formula più ampia “perché il fatto non sussiste”, dalle accuse di disastro ambientale colposo e truffa ai danni dello stato.
Scagionati dunque da tutte le accuse Sabatino Santangelo, ex vicesindaco di Napoli ed ex presidente di Bagnolifutura (la partecipata del comune di Napoli incaricata di portare avanti il progetto di riqualificazione di Bagnoli), Gianfranco Caligiuri, ex direttore tecnico di Bagnolifutura, Alfonso De Nardo, dirigente Arpac, Mario Hubler, ex direttore generale della società Bagnolifutura, e Giuseppe Pulli, all’epoca dei fatti dirigente del dipartimento Ambiente del comune di Napoli. E’ morto prima del verdetto l’ex dirigente del ministero dell’Ambiente Gianfranco Mascazzini.
L’assoluzione di tutti gli imputati giunge a distanza di quindici anni dall’inizio delle indagini condotte dalla procura di Napoli, un’eternità. Fu in particolare la pm Stefania Buda nel 2007 ad accusare i vertici di Bagnolifutura, dirigenti del comune, dell’Arpac e persino del ministero dell’Ambiente di non aver realizzato veramente le attività di bonifica dell’area, per le quali erano stati stanziati 107 milioni di euro. La procura giunse a sostenere che in alcuni punti le sostanze inquinanti avevano addirittura una concentrazione maggiore rispetto a quando, nei primi anni duemila, erano stati compiuti i primi carotaggi per la pulizia del terreno dai materiali ferrosi e cancerogeni.
Nel 2013 la procura chiese e ottenne addirittura il sequestro dell’area, ipotizzando sostanzialmente un vasto complotto istituzionale: “Tutti gli enti pubblici istituzionalmente preposti al controllo dell’attività di bonifica, quali Arpac, comune e provincia di Napoli, si sono venuti a trovare in una situazione di palese conflitto d’interesse con l’interscambio dei ruoli tra controllori e controllati”. Praticamente, secondo la pm Buda, gli organismi di vigilanza avevano avallato le attività fittizie di Bagnolifutura. Con il provvedimento di sequestro dell’area, il gip di Napoli dispose anche “un dettagliato piano di interventi finalizzato a un’adeguata bonifica e messa in sicurezza” della zona, sostituendosi di fatto alla politica.
A distanza di nove anni scopriamo che nulla di tutto ciò era vero. Peccato che nel frattempo il disastro giudiziario abbia prodotto, non soltanto danni irreparabili sulle vite degli imputati, ma anche danni economici e ambientali ingenti su un’area che, ancora oggi, attende la sua rinascita. Prima che i magistrati intervenissero con il sequestro, era già stata completata la bonifica di circa metà dell’area ed erano state già realizzate infrastrutture importanti come il Parco dello sport, la Porta del parco e l’acquario tematico. Dopo il sequestro tutto si è fermato. Le strutture sono state abbandonate al degrado e al vandalismo. Gli appalti di vendita dei suoli sono andati deserti, sotto il peso dell’ombra dell’inquinamento, portando a un danno di circa 100 milioni di euro. Tutto ciò ha portato al successivo fallimento di Bagnolifutura, che ha accumulato 190 milioni di debiti. Il governo Renzi fu costretto a intervenire con la nomina di un commissario e l’istituzione di una cabina di regia, ma oggi le operazioni di bonifica sono ancora da realizzare.
“Il processo – afferma l’avvocato Polidoro – è partito dal presupposto che la bonifica non era stata fatta, ma così non era. In primo grado il perito del tribunale svolse un intervento sul posto valutando un’area pari a 150 metri quadri, a fronte di un’area grande 1 milione e 800 mila metri quadri. Ma se io nell’aula di tribunale trovo una parte di pavimento sporca non posso mica dire che tutto il quartiere di Poggioreale è sporco”. Paradossi durati ben quindici anni, e che hanno portato a un disastro giudiziario, economico e sociale.