Lo scontro
Cartabia e Franco litigano sulla giustizia tributaria. Poi il Quirinale stoppa il blitz
Fare una riforma per decreto è una scelta discutibile. Ma farla con un testo arrivato all’ultimo minuto in Cdm, senza uno straccio di discussione, e con i due ministeri coinvolti in conflitto è sembrato davvero troppo. Anche al Colle
Giustificato o meno, il blitz è stato così scomposto che per bloccarlo è intervenuto direttamente il Quirinale. Col garbo e la discrezione di prammatica, s’intende, ma pure con una certa fermezza: che insomma, già riformare la giustizia tributaria per decreto è una scelta discutibile, ma farlo così, come s’è tentato mercoledì sera, con un testo arrivato all’ultimo minuto in Cdm, senza uno straccio di discussione in preconsiglio, e coi due ministeri coinvolti – Giustizia ed Economia – in conflitto esplicito tra loro, sembrava proprio una sgrammaticatura.
Certo, c’era l’urgenza legata alla scadenza del Pnrr. E però certi dettagli del testo, certi bisticci consumatisi intorno alla sua definizione, hanno finito col legittimare il sospetto per cui fosse un’altra, l’impellenza avvertita, e di ben più misera natura. A Palazzo Chigi se ne sono accorti quando si sono visti consegnare due bozze dello stesso decreto: due versioni uguali in tutto, se non in un passaggio. Quello, cioè, sull’età pensionabile. A via Venti Settembre spingevano per equiparare i giudici tributari a quelli ordinari, abbassando così la soglia dei primi a 70 anni. E sembrava, in effetti, la scelta più lineare. Se non che a Via Arenula hanno optato per l’arabesco: equiparare sì, ma con più fantasiosa soluzione. E cioè abbassando l’età pensionabile dei tributari a 72 anni, per poi aumentare quella degli ordinari, di cui in queste stesse ore si sta discutendo in merito alla riforma del Csm. Ed eccolo riaffiorare, allora, il dubbio. Quello per cui tutto questo contorcimento legislativo serva a garantire a un manipolo di illustri magistrati prossimi alla pensione un prolungamento di carriera, un sovrappiù di prestigio. L’indiziato più eminente, in questo senso, è Giovanni Salvi, procuratore generale della Cassazione che proprio a luglio prossimo compirà i 70 fatidici. Altro che Pnrr.
Due giorni fa la stessa ombra aveva agitato Matteo Renzi, che a Palazzo Chigi aveva mandato un dispaccio eloquente: “Se nella riforma del Csm ci finisce l’aumento dell’età pensionabile, noi votiamo contro e facciamo pure ostruzionismo”, aveva scandito il leader di Italia viva, che poi coi suoi parlamentari era stato più diretto: “Non è che quello che era uno scandalo quando lo proponeva Bonafede per salvare Davigo diventa accettabile perché lo propongono gli uffici della Cartabia per salvare Salvi”. A qualcuno era parsa una renzata. E invece ieri sera i tecnici di Daniele Franco si sono impuntati sulla stessa obiezione. E hanno consegnato a Mario Draghi una bozza alternativa.
Del resto non era quello l’unico motivo di dissidio tra i due ministeri, responsabili entrambi della riforma della giustizia tributaria. I tecnici del Mef predicano da mesi l’urgenza di creare una magistratura professionale, nel settore, senza affidarsi a commissioni di esperti estemporanei. E in effetti quest’anomalia decennale viene sanata, nella proposta di riforma, con specifici reclutamenti per concorso ristretti a laureati in giurisprudenza. Solo che a Via XX Settembre ritengono che, rotto il tabù, si debba essere coerenti fino in fondo e consentire ai magistrati tributari di accedere anche in Cassazione, dove peraltro si coagulano ogni anno migliaia di contenziosi. E però la parte relativa alla Cassazione è quella di competenza di Via Arenula, nella riforma: e da quelle parti l’idea che l’organo supremo possa non essere più appannaggio esclusivo dei magistrati ordinari, che vi accedono in base a principi di anzianità, non piace granché. Meglio la conservazione. E questa divergenza s’è riproposta poi anche nella “commissione di lavoro” nominata dai due ministeri: quella che, dopo che già un’altra commissione – ma “commissione di studio”, quella, si badi bene – aveva prodotto un dossier nove mesi fa, ha consegnato un nuovo dossier nei giorni scorsi.
Per ora non se n’è fatto nulla. E qui il rischio è che davvero la scadenza prevista dal Pnrr per la riforma, fissata a dicembre 2022, diventi improvvisamente assai meno lontana di quanto non sembri. Perché Bruxelles, come hanno ribadito alla Cartabia gli ispettori venuti a Roma a fine marzo, esige che per allora sia completato l’iter legislativo, con approvazione definitiva del Parlamento. E visto in quest’ottica, dicembre è davvero vicino. Motivo per cui, malgrado l’inciampo di mercoledì, a Palazzo Chigi non escludono che allo strumento del decreto si debba ricorrere comunque, per evitare i rischi di lungaggini legati a un eventuale disegno di legge. Ma che almeno lo si faccia con grazia. Che almeno, nel farlo, non si indispettisca il capo dello stato.