Dal Csm al processo penale e civile: il metodo Cartabia si è inceppato?
Nei primi mesi di mandato, la Guardasigilli ha ottenuto successi quasi miracolosi, come il superamento della riforma Bonafede della prescrizione. Da dicembre in poi, il suo tocco magico sembra essersi esaurito
E se il metodo Cartabia – quello fatto di continui e felpati incontri con le delegazioni dei partiti, volti a raggiungere equilibri tra esigenze contrapposte, bilanciare gli estremi, costruire in maniera certosina convergenze politiche sui temi più divisivi della giustizia – si fosse improvvisamente inceppato?
Nel corso dei primi mesi di mandato, la Guardasigilli ha ottenuto successi quasi miracolosi: è riuscita a far approvare in tempi brevi al parlamento le leggi delega che dettano le linee guida per le riforme del processo penale e civile, fondamentali nell’ambito del Pnrr; è riuscita nell’impresa di mettere una toppa allo scempio della riforma Bonafede che aboliva la prescrizione dopo il primo grado di giudizio, inducendo i grillini ad accettare il meccanismo della cosiddetta improcedibilità (se i processi sforano i tempi si estinguono); è riuscita a convincere le forze politiche a raggiungere un accordo sul recepimento della direttiva europea sul rafforzamento della presunzione di innocenza (per il quale il nostro paese era in ritardo di cinque anni). Da dicembre in poi, però, il tocco magico dell’ex presidente della Corte costituzionale sembra essersi esaurito, rivelando in alcuni casi anche una certa assenza di sensibilità politica, molto frequente fra i tecnici prestati al governo.
La grande crisi del “metodo Cartabia” si è consumata attorno alla riforma del Consiglio superiore della magistratura e dell’ordinamento giudiziario. Nonostante la commissione di studio (presieduta da Massimo Luciani) istituita dalla ministra per elaborare le proposte di riforma avesse consegnato le sue conclusioni già nel giugno 2021, Cartabia ha trasmesso il suo pacchetto di modifiche a palazzo Chigi solo alla vigilia di Natale, dopo averne discusso informalmente con le forze di maggioranza.
Si è poi dovuto attendere l’11 febbraio 2022 affinché il Consiglio dei ministri desse ufficialmente il via libera agli emendamenti al precedente ddl Bonafede riguardanti il Csm e l’ordinamento giudiziario. Tutto ciò nonostante si fosse di fronte a due fra le questioni storicamente più divisive nel dibattito politico italiano e il capo dello Stato Sergio Mattarella avesse più volte fatto appello affinché la riforma del Csm fosse realizzata prima del rinnovo dell’organo, previsto a luglio.
Risultato: tempi strettissimi per la discussione della riforma in parlamento ed esplosione delle tensioni tra i partiti, divisi tra difesa delle istanze corporative delle toghe (M5s e parte del Pd) e il radicale rinnovamento che lo scandalo delle correnti avrebbe dovuto richiedere (centrodestra, Italia viva e Azione). Un disastro politico, risolto con il raggiungimento di un compromesso (dal quale i renziani si sono tirati fuori) fatto di concessioni compensative – o bandierine elettorali – a ciascun partito.
Ne è venuto fuori un testo che certamente prevede alcune novità positive, come ad esempio sulle porte girevoli tra magistratura e politica, sul passaggio di funzioni tra pm e giudici, e sulle nomine dei dirigenti degli uffici giudiziari, ma che sulla grande questione di fondo – il meccanismo elettorale del Csm – ha partorito un topolino: una formula stravagante (sistema maggioritario con correttivo proporzionale fondato sul sorteggio dei collegi) che non ridurrà in alcun modo il peso delle correnti nell’elezione dei membri togati.
Il metodo Cartabia sembra perdere colpi anche su altri fronti. Entro la fine dell’anno il governo dovrà dare attuazione alle leggi delega di riforma del processo penale e civile, attraverso l’adozione dei relativi decreti legislativi. Anche in questo caso la ministra ha istituito dei gruppi di lavoro (cinque per il penale, sette per il civile), composti da giuristi, magistrati e avvocati, che dovrebbero provvedere all’elaborazione degli schemi dei decreti legislativi. “La nostra previsione è di portare all’esame del parlamento questi decreti legislativi prima dell’estate”, ha riferito Cartabia alla Camera lo scorso 23 marzo.
Fonti ministeriali, tuttavia, segnalano pesanti ritardi anche sull’elaborazione di queste proposte, che, una volta messe sul tavolo, dovranno essere oggetto di sintesi da parte della ministra e inserite all’interno di testi coordinati. Tutto potrebbe slittare a dopo l’estate, con il rischio poi che i partiti si dividano su alcuni aspetti chiave. Anche l’approvazione della riforma della giustizia tributaria, infine, rischia seriamente di bucare la scadenza del 31 dicembre, prevista dal Pnrr.